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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2014 alle ore 08:14.

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Ho sulla mia agenda il code che apre il portone d'ingresso di casa sua e che dà accesso al vano dell'ascensore. Lo terrò come un caro ricordo, anche se non lo userò più. Non salirò più al quinto piano di quell'alto edificio luminoso anche se un po' triste del XIX Arrondissement, a pochi passi da uno dei "ponti levatoi" tra il Bassin de la Villette e il Canal de l'Ourc. Non mi siederò più di fronte a lui, in quella stanzetta zeppa di libri , aspettando che mi serva un cognac o un calvados: in fondo al pomeriggio ne avrei fatto a meno, ma li accettavo perché sapevo che lo usava come alibi per farsi un bicchierino anche lui. E sorbendo il liquore parlavamo di tante cose, anche delle "nostre" ormai lontane giornate parigine comuni, degli amici, di certe belle cene. E, soprattutto di Hanka, sua moglie. Per anni il suo cruccio segreto era stato quello di doverla lasciar presto sola: lei dieci anni più giovane di lui, così esile, così attenta, e lui così pesante, così eccessivo con la sua pipa e i suoi liquori… Lei se ne andò in silenzio, nel dicembre del 2004, lasciandolo solo. Per altri dieci anni.
Non era ormai più da tempo il gigante cui eravamo abituati, con l'eterna pipa, l'appetito robusto, la joie de vivre delle sue risate omeriche: ma continuava a lavorare sereno, cordiale, attento, lucidissimo; e spesso la sua casa si trasformava quasi in uno studio televisivo per videoconferenze che volentieri concedeva. Un suo recente denso libretto, Faut-il vraiment découper l'histoire en tranches? (Seuil, 2014), aveva fatto molto rumore e suscitato vivaci discussioni per il rapporto, che ne usciva, fra il suo «lungo Medioevo» e la comune immagine del Rinascimento.
Ora – lo scrivo, eppure mi pare impossibile – non aggiungerà più nulla alla sua favolosa, chilometrica bibliografia. Quindi possiamo, anzi dobbiamo tirare le somme. Che cosa fu per lui il "Medioevo"?
A questa domanda Jacques Le Goff è sembrato quasi rispondere con l'ultima sua fatica pubblicata nella nostra lingua, Uomini e donne del Medioevo (Laterza), prima di quel triste 1° aprile scorso. E che, per quanto non volesse per nulla esser tale, ci fa l'effetto di una specie di commiato se non di testamento spirituale.
In effetti, a prima vista ci si trova dinanzi a un libro di lineare gradevolezza: in ariose pagine splendidamente illustrate, 43 studiosi scelti con cura – davvero una specie di Gotha della medievistica europea – allineano 112 "schede" disposte in ordine cronologico e dedicate, appunto, ad altrettanti fra uomini e donne vissuti tra IV e XV secolo (da san Martino di Tours a Cristoforo Colombo) organizzati in quattro sezioni che nel loro insieme costituiscono una proposta esegetico-peridizzatrice (Dalla cristianizzazione a Carlomagno; Da Carlomagno all'Anno Mille; L'Apogeo medievale; Criticità e mutazioni) cui se ne aggiunge una quinta, Personaggi immaginari - per intendersi: da Artù a Satana passando per la Vergine Maria e Robin Hood: i credenti troveranno forse da ridire sulla derubricazione a "immaginari" del secondo e della terza tra quelli qui citati – che sotto certi aspetti è rivelatrice.
Difatti, la sostanza del lavoro è impegnativa. Non tanto per i contenuti delle singole "schede", quanto per l'immagine generale del Medioevo che ne emerge: un Medioevo dal quale, per esempio (e non si tratta certo di "dimenticanze") mancano Goffredo di Buglione, Francesco Petrarca e Lorenzo il Magnifico; e soprattutto per la breve ma densa "Introduzione" dal sintomatico titolo I lenti creatori dell'Europa (pagg. 9-17), dove peraltro il Petrarca è appunto evocato, tra i creatori della parola e gli "inventori" del concetto di Medioevo. In un momento difficile per il nostro Continente che da alcuni decenni si è candidato a diventare anche il "nostro Paese" e che avrebbe dovuto (ed eravamo in tanti, noi non più giovanissimi, a sperarlo…) impiantarsi anche nei nostri cuori come "patria" comune, un grande studioso torna a riflettere sulle sue radici: e lo fa riproponendone quelli a proposito dei quali qualcuno ha detto che sono felici i popoli che non ne hanno bisogno, gli "eroi". Il concetto legoffiano di singolo protagonista della storia è molto lontano dalla fenomenologia individualista di stampo hegeliano, alla "biografia" che tanto piaceva a don Benedetto Croce. Il protagonista legoffiano è "eroe" in quanto è esempio tipologico, modello: l'uomo e la donna, intanto; ma anche il santo, il re, il guerriero, l'intellettuale, il viaggiatore; e magari – tra i protagonisti "fantastici", anche il Bene e il Male, rispettivamente incarnati da un personaggio femminile, la Vergine Maria, e uno spirituale ma di solito immaginato al maschile, il demonio. Certo, è sintomatico che il Medioevo di Le Goff conosca un sicuro apogeo, tra XI e XIII secolo, a includa quella che una volta s'indicava la "crisi del Trecento" e l'era che, specie per gli italiani, è l'umanistico-rinascimentale nel comune arco delle Criticità e mutazioni. Una proposta che in ultima analisi riapre un vecchio problema, che si può far risalire al primo Ottocento e al celebre Christeheit oder Europa. E, al di là del poeta-saggista tedesco e delle sue ben radicate convinzioni soggettive, ci si può ben tornar a interrogare su quel che "obiettivamente" potrebbe significare quella misteriosa, ambigua scandalosa congiunzione, oder. "Ovvero"? E se la interpretassimo come "oppure"? La risposta sta nel senso che noi diamo al rapporto tra Europa e cristianesimo: compenetrazione e quindi endiadi, oppure giustapposizione restata intimamente superficiale e destinata a tramontare? In ultima analisi, è qui il nucleo del valore da conferire al passaggio dal Medioevo alla Modernità. Non sottovalutiamo questo dilemma, su cui è inciampato anche il Preambolo della Costituzione europea. De nobis fabula narratur.

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