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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2014 alle ore 08:15.

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Le luci siderali e lattiginose, capaci di formare in lontananza l'illusione di coni tangibili, si sono d'improvviso interrotte nel cuore di Corps de Walk. Buio pesto: aiuto! Eppure nessuno spettatore del Teatro Ponchielli di Cremona ha abbandonato la sala, e senza immaginare che dopo la lunga pausa – quasi mezz'ora – dovuta a un guasto del computer contenitore di ben più di sette sfumature di grigio (qui doratissimo, per la verità), la nordica compagnia Carte Blanche avrebbe ripreso la sua corsa come se nulla fosse successo. Invece, con normali luci di scena aranciate, ormai prive di compatte evanescenze, l'ipnotica coreografia hi-tech è andata felicemente in porto, e con quella massima concentrazione di gruppo richiesta dall' israeliana Sharon Eyal e dal suo collaboratore Gai Behar.
Qualsiasi perdita di controllo è d'altra parte vietata ai dodici valorosi interpreti poliglotti della Compagnia nazionale norvegese di danza contemporanea, nata nel 1989 a Bergen, e dal 2008 diretta da Bruno Heynderickx. Soprattutto è negata ogni distrazione nelle difficili coreografie meccaniche della Eyal, come Love (2005) e Killer Pig (2009), prime tappe, – già destinate alla Carte Blanche –, e specchio di un originale stile da brivido caldo/freddo, richiedente a ogni danzatore di "annullarsi" a vantaggio del gruppo. In teoria, la scelta estetica di prediligere all'individuo il "corps de ballet", parrebbe antica, tradizionale. Ma se osserviamo i corpi intrappolati sino alle mani in calzamaglie color carne, come i capelli delle danzatrici, irrigiditi in chignon e senza un pelo fuori posto, o le teste maschili calve o imbrattate di gel uguale alla loro pelle, scopriamo un' umanità artificiale ben lontana dagli ensemble ottocenteschi. Se poi, per caso, incrociamo gli occhi dei ballerini, resi vitrei da presumibili lenti tutte chiare o azzurre, non possiamo che proiettarci, a piacere, nel mondo di ritorno (qui nude look) dei replicanti di Blade Runner, oppure in qualche fanta-fim robotico da finis terrae e gloriae mundi.
In questo Corps de Walk , però, si cammina: di più si marcia – su un mix musicale in cui sono poco riconoscibili David Byrne, Debussy e i Tuxedomoon – e la marcia è foriera di un inestricabile formicolio vitale. Il gruppo si sposta qua e là; si spezza in cambrè a ginocchia già piegate e sotto pesi invisibili; si dispone in file orizzontali e verticali anche a terra, ma sempre continuando una fitta conversazione gestuale "interna". Lo spettatore non scopre se i rigidi passi a due, o le brevi accensioni solistiche, subito cancellate dall'ensemble, gli sono donati e gli appartengono, o sono parte di un alfabeto appeso alla luna e alle stelle.
La magia del pezzo sta in questo minimalismo sempre imploso, capace di rendere il gruppo dubbioso e forse persino emotivo, ma senza che chi guarda se ne avveda: ammaliato com'è o esterrefatto, da cotanta massa (piccola e pare immensa), padrona di uno spazio dal quale non è soffocata, ma che viceversa ingombra e imprigiona. L'inquietudine cresce: il movimento è criptico, apparentemente asemantico, forse intarsiato di frammenti amorosi, o di orribili nefandezze, di erotismo e giochi ironici, di violenza e bontà. Tutto, di certo, è androgino: non c'è femminile né maschile in Corps de Walk. Tutto resta misteriosamente celato in file inossidabili e marce senza posa, sinonimo di un progredire non si sa verso dove, e se destinato all'infinito. Questa è la coreografia del Nord, o del futuro?
Ieri il "Comunale" di Bolzano – seguendo il trend del momento – ha presentato un esclusivo e variegato trittico dell'ancora sconosciuta Iceland Dance Company. In Nordic Trilogy della Compagnia di danza nazionale islandese (fondata nel 1973 a Reykiavik e da due anni diretta da Lara Stefánsdóttir), la pièce più affine a Corps de Walk è stata l'energica Grossstadtsafari del norvegese Jo Strømgren. Ma qui la piccola folla di dieci danzatori, stressata dalla convulsione urbana, punta sulle singole ossessioni in un'oscurità psicofisica. Nelle altre coreografie in programma – The Swan della direttrice Stefánsdóttir e Luggage di Valgeroxur Rúnarsdóttir – volano sogni maschili di donne qualunque trasformate in cigno (ancora!), e memorie idealmente accumulate in ogni singola vita come in una valigia di oggetti spesso diventati indifferenti.
Al Nord si crea con la netta volontà di rendere grottesche, ironiche o melanconiche certe ubbie esistenzialistiche. Corps de Walk appartiene a un altro mondo, di certo condizionato dal collettivismo della israeliana Batsheva Dance Company, di cui Sharon Eyal è stata a lungo interprete. Tuttavia, la poetica della coreografa Eyal – cui spetterà aprire, in agosto, il Festival "Oriente Occidente" – censura, per il momento, fragilità e debolezze di quel corpo contemporaneo in affanno, segnato da molte ombre, oggi, e presumibilmente anche domani, tanto indagato. Lei, invece, marcia spedita verso la creazione di opere "marziali", rette da un pensiero inquietante: in Corps de Walk la massa si sottrae al dialogo con il pubblico, ma lo tiene in pugno con la forza dell'ipnosi e di un linguaggio negato a ogni penetrazione. Deriva di un'umanità solo dipendente da beffarda tecnologia?
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Corps de Walk, Carte Blanche, Teatro Ponchielli, festival «La Danza» in corso, Cremona. Nordic Trilogy, Iceland Dance Company, Teatro Comunale, Bolzano, gruppi in tournée europea.

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