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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2014 alle ore 14:36.

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Tagli da 2-2,5 miliardi alla sanità nati e tramontati nel giro di una sola giornata. Con i distinguo, le preoccupazioni e gli altolà di Beatrice Lorenzin. Lo stop delle regioni che minacciavano di fermare l'orologio del «Patto salute». La minoranza Pd (e non solo) insorta con Stefano Fassina. I medici sulle barricate anche contro il rischio di subire con i dirigenti pubblici altri prelievi in busta paga. Le reazioni (scontate e previste) contro misure socialmente dolorose e impopolari hanno imposto a palazzo Chigi in serata di virare dalla rotta di nuovi salassi lineari alla sanità allo studio del Mef. Nessun taglio lineare alla spesa sanitaria, è la rotta di Matteo Renzi. Anche se ora andranno trovate le alternative, e comunque una potatura alle spese di asl e ospedali ci sarà con la spending. Almeno un miliardo nel 2014, è l'ipotesi, stando almeno al "piano Cottarelli".

Le anticipazioni di ieri del Sole 24-Ore sulle ipotesi del Mef di tagli da 2-2,5 miliardi alla spesa sanitaria anche riducendo almeno di 1 miliardo il Fondo per il 2014, hanno creato malumori e tensioni. «Io non sono in grado di rassicurare nessuno. Quello che posso dire è che a oggi nessuno mi ha proposto un taglio lineare», ha dichiarato nella mattinata di ieri Lorenzin. Tagli lineari «con l'accetta» che d'altra parte «non possono aiutare la riprogrammazione del sistema sanitario», ha aggiunto, ribadendo il suo refrain: qualsiasi risparmio deve restare dentro il Ssn. Ma la scelta «è tutta politica», ha aggiunto non a caso. E quanto alle anticipazioni sui nuovi tagli da 2-2,5 miliardi, del resto, «il fatto che si leggano queste cose sui giornali non è che non mi preoccupi». Il che, abbinato all'ammissione della ministra di «non essere in grado di rassicurare nessuno», rafforzava appunto la veridicità delle indiscrezioni. Anche perché al Mef ci sarebbe stato una sorta di "piano B": degli eventuali 2 miliardi di risparmi, la metà sarebbe restata in casa Ssn. Quasi un compromesso.

Che però non poteva bastare a a nessuno. Il rappresentante dei governatori, Vasco Errani (si veda l'intervista a pag. 6), lo ripeteva a chiare lettere: i risparmi della spending in sanità non vanno indirizzati altrove, altrimenti il «Patto» salterebbe e «si aprirebbe un serio e concreto problema di gestibilità» della salute pubblica. Ma anche dalla maggioranza fin dalla mattina era partito il fuoco di sbarramento. «Speriamo che il Governo smentisca al più presto le indiscrezioni su ulteriori tagli alla sanità per "coprire" la riduzione dell'Irpef. Sarebbe una beffa e un danno. Quasi una partita di giro», metteva in guardia Stefano Fassina. Come, non a caso, ribadivano in un fuoco di fila pro-Lorenzin dal suo stesso partito, l'Ncd; dall'ex ministra De Girolamo a Raffaele Calabrò, capogruppo in commissione sanità alla Camera: «I tagli paventati dal Mef sono insostenibili e porterebbero al collasso il sistema. Spero che Renzi non voglia intestarsi questa battaglia».
Infine il fronte sempre caldo dei medici. «I medici e i dirigenti sanitari non accetteranno senza reagire altre discriminazioni ai loro danni con un'aliquota fiscale più o meno mascherata», il muro alzato da Costantino Troise, segretario del primo sindacato di categoria, l'Anaao. Una dichiarazione di guerra, ma anche un allarme: «Il sistema sanitario non è in grado di sopportare ulteriori restrizioni e aggressioni». Poi la marcia indietro arrivata in serata da palazzo Chigi. Con cifre ancora tutte da decidere.

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