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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2014 alle ore 07:08.

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Oggetto del contendere nel dibattito parlamentare negli ultimi mesi, rinviata alle europee di quest'anno e fuori dall'Italicum, almeno nella prima versione approvata dalla Camera, la tutela della parità tra uomo e donna attraverso l'alternanza nelle liste elettorali ha trovato invece spazio nella legislazione regionale. A volte unite, con formule originali, alla previsione delle "quote rosa" e alla preferenza di genere.

Alternanza di genere in tre regioni, Campania apripista sulla preferenza
Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Lombardia sono le regioni che prevedono un'alternanza di genere in lista. Le prime due fissano anche un tetto massimo di candidati dello stesso sesso. Tutte e tre dispongono che nella sequenza della lista i nomi dei candidati siano alternati per genere (solo nella lista regionale per la Sicilia). A introdurre invece nella legislazione regionale la norma inedita della preferenza di genere è stata la Campania nel 2009, seguita proprio quest'anno dal Friuli Venezia Giulia (lr 2/2014). In base alla norma,nell'elezione dei consiglieri regionali se si esprimono due preferenze queste devono riguardare candidati di sesso differente, pena l'annullamento della seconda preferenza.

Le quote: nel Lazio listino regionale diviso a metà
Tutte le regioni a statuto speciale stabiliscono quote di lista: la Valle d'Aosta dove ciascun genere non può essere rappresentato in misura inferiore al 20%, in Friuli Venezia Giulia ogni lista circoscrizionale non può avere più del 60% di candidati dello stesso genere, in Sicilia per la lista provinciale il tetto è dei due terzi. Tetto identico anche per le Province autonome di Trento e Bolzano e per la Sardegna. Ma anche in sei Regioni ordinarie: Puglia, Marche, Toscana, Campania, Umbria e Lazio (che prevede invece nel listino regionale i candidati di entrambi i sessi debbano essere «in numero pari»). In Veneto il limite di rappresentanza si abbassa invece al 50%.

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