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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2014 alle ore 12:35.

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Non è un sogno, è successo davvero. Fabio Fognini, simbolo e riferimento dell'Italia del tennis al maschile che rialza la testa dopo anni di saliscendi e di imbarazzanti silenzi, ha messo alle corde nella bolgia di Napoli il campione olimpico britannico Andy Murray, titolare di due tornei del Grande Slam, uno dei pochi a vantare un bilancio favorevole con sua maestà Roger Federer. Tre set a zero e inizia la festa. L'Italia si aggiudica dopo 16 anni il tagliando per le semifinali di Coppa Davis e Fognini si prende meritatamente le prime pagine dei giornali di casa nostra. Il numero 13 al mondo studia da fenomeno e fabbrica prodigi. Si diceva fosse un ottimo tennista con il vizio della sceneggiata. Bravo ma non bravissimo. Il trionfo di Napoli ha scritto un'altra verità. Meravigliosa e possibile.

Lo raggiungiamo via telefono nel viaggio di ritorno verso casa, ad Arma di Taggia, dove lo aspetta nonna Giusy. Ieri pomeriggio ha trovato il tempo per passare da Bra, dalle parti di Cuneo, per prendere parte alla "Giornata del campione Babolat", durante la quale ha incontrato gli studenti delle scuole elementari della zona e tanti tennisti alla prime armi. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono.

Scrisse Honoré de Balzac: «Il pericolo più grande si corre nell'ora della vittoria». Fognini, sa che d'ora in poi tutti si aspetteranno sempre il massimo da lei?
«Purtroppo, sì, ma in alcuni casi dovranno aspettarsi il peggio. Perché non sarà tutto rose e fiori».

Adriano Panatta ha detto che la sua vittoria contro Murray «dimostra che la Coppa Davis è un altro sport rispetto ai tornei e ai grandi slam».
«Sono d'accordo con lui, la Davis è diversa sicuramente. Giochi per la tua squadra, per il tuo Paese, ci sono emozioni e tensioni diverse. Ma questo non significa che i grandi giocatori scendano in campo con più leggerezza. Perché dovrebbero? E comunque non vedo perché non potrei vincere anch'io un torneo del Grande Slam».

Cosa le manca per entrare nei primi dieci al mondo? Cosa deve migliorare per fare il decisivo salto di qualità?
«Mi mancano partite e punti, perché al giorno d'oggi sono tutti bravi e preparati. C'è sempre qualcosa da migliorare e se voglio entrare nei top ten la strada è ancora molto lunga, c'è ancora tanto da pedalare».

Dicono che abbia messo la testa a posto grazie alle cure del coach José Perlas. Cosa le ha insegnato il tecnico spagnolo?
«Posso confermare. È un grande allenatore. Ha guidato gente molto più forte di me (tra i tanti che hanno scelto di affidarsi alle sue intuizioni, Carlos Moya, Juan Carlos Ferrero e Nicolas Almagro,ndr) e sa come prendermi. Mi ha fatto lavorare tanto, mi ha dato molta fiducia e soprattutto mi ha fatto credere di più nei miei mezzi e nelle mie possibilità. Con lui c'è un buon feeling, spero che insieme si possa arrivare sempre più lontano».

«Devo stare attento che le vecchie abitudini non tornino a galla», ha detto qualche giorno fa alla Gazzetta dello Sport. Che cosa intendeva?
«Sono sempre stato un ragazzo molto istintivo. Tutti pensano di conoscermi e mi giudicano per come mi comporto in campo. Per carità, li capisco, ma certo non sanno tutti i sacrifici che faccio ogni giorno per migliorarmi. È vero, ogni tanto tornano a galla piccole cose che sto cercando di limitare il più possibile proprio con l'idea di fare un ulteriore salto di qualità. Sì, sono io stesso il mio primo avversario».

Ha ricevuto i complimenti del suo amico Valentino Rossi?
«No, sinceramente no. Non ancora, almeno, magari arrivano, meglio tardi che mai. In compenso, ho sentito, tra gli altri, Djokovic e Tomba. E poi mi hanno chiamato le ragazze del tennis, la Schiavone, la Errani, la Vinci».

Tifa Inter, eppure si vocifera che si sia fatto regalare la maglietta da Higuain. Non le bastano Icardi e Palacio?
«Non è assolutamente vero, non mi hanno regalato la maglietta di Higuain. Palacio e Icardi? Sono due giocatori diversi. Il primo si è caricato la squadra sulle spalle, ha fatto tantissimo per l'Inter, mentre l'altro, Icardi, deve ancora dimostrare tanto».

Nella semifinale di Davis incontreremo la Svizzera della coppia d'assi Federer-Wawrinka. Sulla carta, un impegno da bollino rosso. Da 0 a 100 quante possibilità abbiamo di raggiungere la finale?
«Dico 33,8%. Magari qualcuno si fa male, chi lo sa. Non me lo auguro, ovviamente, ma può succedere. E poi, nulla è impossibile nella vita, andremo là e ce la giocheremo fino alla fine come abbiamo sempre fatto».

Ora può dirlo. Per l'infortunio al costato, dobbiamo chiedere notizie a Flavia Pennetta?
«Sì, potete chiedere a lei. È possibile che con l'abbraccio che mi ha dato a Miami mi abbia incrinato la costola».

Twitter: @dario_pelizzari

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