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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2014 alle ore 11:22.
L'ultima modifica è del 08 aprile 2014 alle ore 18:52.

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A 10 anni dall'entrata in vigore della legge 40/2004 sulla procreazione assistita potrebbe cadere anche l'ultimo divieto rimasto: quello alla fecondazione eterologa. È stata rimandata a domani la decisione della Corte Costituzionale sulle questioni di legittimità, sollevate da tre tribunali (Milano, Catania e Firenze), sul divieto di fecondazione assistita effettuata con gameti provenienti da un donatore esterno alla coppia. L'udienza è iniziata con la relazione del giudice Giuseppe Tesauro. I giudici della Consulta, dopo l'udienza pubblica di questa mattina, si sono riuniti in Camera di consiglio dal primo pomeriggio fino alle 18.40 di stasera, senza giungere a una decisione su questo tema. L'esame della questione proseguirà dunque da domani mattina alle 9.30.

Sotto la lente il diritto a essere genitori
Ad assestare un altro fendente a una legge che negli ultimi 10 anni - dall'obbligo di produrre non più di tre embrioni a quello di impianto contemporaneo - è stata già più volte sfrondata a colpi di illegittimità è il caso di tre coppie che non possono avere figli e si sono viste negare l'eterologa. La vicenda ovviamente travalica le storie personali, perché la decisione della Consulta è attesa da tante persone che a causa di una infertilità assoluta, possono sperare solo nella donazione esterna di ovuli o spermatozoi per avere un bambino. Per loro, la cancellazione del divieto di fecondazione eterologa significherebbe vedere riconosciuto il diritto a essere genitori, a essere famiglia e quindi formare una famiglia. Le ordinanze dei tre tribunali rimesse, circa un anno fa, alla Corte Costituzionale pongono l'accento proprio su quest'aspetto e lo sviluppano prospettando la violazione di numerosi articoli della Costituzione: dall'articolo 2 sui diritti inviolabili dell'uomo all'articolo 3 sul principio di uguaglianza; dal 29 sulle tutele alla famiglia al 31 sulla tutela della maternità; dal 32 sul diritto alla salute al 117 sui vincoli rispetto all'ordinamento comunitario.

Sul giudizio pesa il caso della legge austriaca
La questione che oggi torna di fronte alla Corte è in realtà già stata affrontata una prima volta nel maggio 2012. In quell'occasione tra l'azione dei Tribunali nell'interesse delle coppie e la Consulta si era frapposta una sentenza pronunciata nel novembre 2011 dalla Grande Camera di Strasburgo che concerneva proprio il divieto di fecondazione eterologa in Austria. La Corte Costituzionale italiana, quindi, ha chiesto ai Tribunali di riformulare gli atti alla luce di questo pronunciamento. La Grande Camera, pur ribaltando la decisione di primo grado e di fatto confermando la legge austriaca - che stabilisce un divieto parziale per l'eterologa escludendo quella in vitro - ha però fissato alcuni principi cardine, e ferma restando l'autonomia di ogni Stato, ha invitato gli Stati membri Ue a legiferare in materia di fecondazione sulla base dell'evoluzione scientifica e delle tecniche mediche. Passaggi, questi, su cui i Tribunali italiani rimettenti insistono nelle loro ordinanze, sottolineando che la legge in vigore impedirebbe la costruzione di una famiglia in presenza di limiti che la medicina consente invece di superare. Così facendo, inoltre, si discriminano le coppie sotto il profilo economico - spiegano i ricorsi -, perché solo le più abbienti possono permettersi di andare all'estero in Paesi dove l'eterologa è consentita, incrementando una sorta di «turismo procreativo».

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