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Due papi incontro al mondo
Massimo Donaddio | 14 aprile 2014
Condensare in poche righe il magistero di due dei pontefici più significativi dello scorso secolo è impresa disperata, ma ripercorrere almeno per sommi capi l'insegnamento di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II resta decisivo anche per comprendere la fama di santità dei due papi che saranno canonizzati domenica da Francesco. Papa Giovanni, in soli cinque anni di pontificato, ha promulgato otto encicliche e tre esortazioni apostoliche, summa del suo insegnamento di supremo pastore della Chiesa cattolica. È chiaro che il merito di aver convocato il Concilio Vaticano II – con i fondamentali documenti che esso ha prodotto – ha in parte oscurato il magistero di Roncalli stesso, eppure alcuni testi pubblicati da Giovanni XXIII sfidano ancora i decenni e continuano a essere richiamati anche oggi. Primo tra tutti, l'enciclica "Pacem in terris" del 1963, ultimo dono del papa ormai prossimo alla morte a un mondo che viveva nel terrore della contrapposizione Est-Ovest, nel timore continuo di una guerra nucleare tra Stati Uniti e Urss, come rischiato durante la crisi dei missili di Cuba.
Papa Giovanni, che aveva fatto tutto il possibile per mediare tra le due superpotenze e disinnescare i rumori di guerra, scrive a tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti, per perorare la causa della pace tra i popoli, all'insegna del metodo – tipicamente giovanneo – di "ricercare ciò che unisce" più che ciò che divide. I quattro pilastri individuati dal papa per ritrovare la strada della pace sono: la centralità della persona, inviolabile nei suoi diritti, ma titolare anche di doveri; il bene comune da perseguire e realizzare ovunque, sulla terra; il fondamento morale della politica; la forza della ragione e il faro illuminante della fede. La verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà, secondo il papa bergamasco, sono le quattro bussole che devono regolare i rapporti tra le varie comunità politiche. L'enciclica ebbe una vasta eco nel mondo, contrariamente a quanto di solito succede per molti documenti ufficiali pontifici, e fu commentata ai più alti livelli dai responsabili politici di Usa, Urss, Gran Bretagna, Nazioni Unite. Con la "Pacem in terris" fa il paio anche l'enciclica "Mater et Magistra", che in realtà è di due anni precedente e si colloca nel solco della dottrina sociale della Chiesa inaugurata da Leone XIII, riaffermando il valore della persona e della libertà economica e affrontando anche i problemi scottanti della decolonizzazione e del sottosviluppo.
Sterminato, invece, il magistero di papa Wojtyla, frutto di uno dei pontificati più lunghi della storia. Selezionando per brevità, va individuata come capitale l'enciclica Redemptor hominis, punto di partenza teologico del magistero wojtyliano, con il richiamo alla centralità dell'opera redentrice di Gesù Cristo, intesa come creazione rinnovata ad opera di un Dio che si è unito in un certo senso a ogni uomo e ne ha condiviso la sorte fino alla morte, riscattandola con il suo sacrificio. Il messaggio di fede di papa Wojtyla, lo stesso che gli aveva fatto pronunciare con vigore quell'invocazione "Non abbiate paura" all'inizio del suo pontificato, rimbalza in tutte le dimensioni del suo magistero, da quelle propriamente teologiche a quelle sociali e pastorali. Tra le prime vanno ricordate le encicliche dedicate dal papa polacco a Dio Padre e alla sua misericordia (con il richiamo alla santa mistica Faustina Kowalska), allo Spirito Santo (Dominum et vivificantem), alla Madonna, madre celeste sempre invocata da Wojtyla (Redemptoris Mater), alla Chiesa in missione permanente, come da mandato di Cristo (Redemptoris Missio).
Il papa che ha lavorato anche come operaio in una cava, alla fabbrica Solvay e ha sempre difeso e spalleggiato le rivendicazioni sindacali di Solidarnosc non ha trascurato certo i temi sociali, non solo con gli scritti (le encicliche Laborem Exercens, Sollicitudo Rei Socialis, Centesimus Annus, Evangelium vitae), ma forse soprattutto con i gesti, la testimonianza, gli appelli contro la guerra e in difesa della vita nascente. Più di carattere dottrinale i testi dedicati alla morale (Veritatis splendor) e al rapporto fede-ragione (Fides et ratio). Papa Wojtyla si mostra allievo della grande tradizione filosofico-teologica tomista, secondo cui «la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità» e non vanno mai separate. Per questa impostazione la verità e il bene procedono di pari passo e l'intelligenza guidata dalla fede è la bussola per i comportamenti morali virtuosi e il perseguimento del diritto.
Questa impostazione non ha certo impedito, però, a Giovanni Paolo II di compiere alcuni importanti gesti di avvicinamento tra le altre religioni (vedasi gli incontri di Assisi) e le altre confessioni cristiane (il tentativo di dare impulso al movimento ecumenico attraverso l'enciclica "Ut unum sint", il ruolo attivo svolto nel crollo dell'impero comunista e anticristiano dell'Unione sovietica).
Infine Wojtyla ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare il più possibile gli esempi della santità di oggi agli uomini del nostro tempo (soprattutto ai laici). Forse anche per questo, "Santo subito" è stato il suo destino ultraterreno.