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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2014 alle ore 19:43.
L'ultima modifica è del 17 aprile 2014 alle ore 20:37.

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La Corte suprema dell'Argentina ha condannato l'agenzia di rating Standard & Poor's (S&P) al pagamento di una multa. La condanna è motivata dal fatto che S &P, durante la crisi del 2002, sfociata in un default dell'Argentina, sovrastimò le emissioni di titoli delle filiali argentine di banche nordamericane, Citigroup e Bank Boston.
I magistrati argentini, che peraltro negli ultimi anni hanno mostrato indipendenza dal potere politico, hanno sancito che S&P ha qualificato i titoli di alcune banche con un rating molto elevato, conferendo quindi un'elevata affidabilità, a titoli che invece meritavano valutazioni allarmistiche. Senza poi comunicare dati di importanza rilevante alla Comision Nacional de Valores (Cnv), la Consob argentina. I giudici della Corte costituzionale hanno confermato la condanna al pagamento di 20mila pesos (2490 dollari), comminata dalla Borsa valori argentina, cui S&P aveva fatto ricorso. Una multa di bassissimo valore economico, ma di alto contenuto simbolico.

La Corte costituzionale argentina ha condannato, oltre all'agenzia di rating S&P, anche i suoi direttori esecutivi e i membri del Consiglio di valutazione; la motivazione parla di sicurezza giuridica compromessa, a danno dei risparmiatori argentini. Più specificamente imputa a S&P "mancanza di professionalità e trasparenza".
La gravissima crisi finanziaria dell'Argentina ebbe inizio nel dicembre 2001, con una grossa emorragia di capitali verso l'esterno. Tale da spingere il governo guidato da Fernando de la Rua ad applicare il "corralito", ovvero il blocco dei conti correnti in tutto il Paese. Il congelamento dei depositi raccolti in tutte le banche del Paese.
Dopo scontri di piazza, 32 morti e molti feriti, venne dichiarato lo stato d'assedio; destituito Fernando de la Rua venne eletto Eduardo Duhalde che decise un'operazione traumatica: la conversione dei dollari contenuti nelle banche in pesos argentini.

Non godono di buona fama o almeno ….hanno visto tempi migliori. Le agenzie di rating, negli ultimi anni, sono state additate dagli osservatori di mezzo mondo come arbitri tutt'altro che imparziali. Anzi "comprati". Proprio così, nell'accezione più stretta del termine, "comprati" proprio perché finanziati dai grandi gruppi finanziari che, allo stesso tempo, ricevono dalle agenzie "pagelle" sulle loro performance. In altre parole le agenzie non possono che emettere valutazioni "positive" dei loro finanziatori. Per una ragione ovvia: la sopravvivenza della loro stessa esistenza.
Roberto Da Rin

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