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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2014 alle ore 10:32.

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Algeria, supporters del presidente Abdelaziz Bouteflika (Afp)Algeria, supporters del presidente Abdelaziz Bouteflika (Afp)

Quasi metà della popolazione non è andata a votare (il dato ufficiale dell'affluenza è del 51%), in alcune regioni tradizionalmente ribelli come la Cabilia soltanto un quarto degli aventi diritto si è recato alle urne: eppure i sostenitori di Abdelaziz Bouteflika, malato e silente, ieri già festeggiavano nelle strade il quarto mandato del presidente più longevo della storia del Paese dopo l'indipendenza raggiunta nel 1962 con la lotta antifrancese.
Apatia, indifferenza, un dissenso palpabile ma ancora debole e sottile rispetto ai sanguinosi e tetri anni Novanta, questi sono alcuni dei motivi che hanno tenuto gli elettori lontani dalle urne.

Sembra che gli algerini si siano rifiutati di fare una scelta, un'astensione dettata dal timore di un salto nel buio, suggerita magari anche dalla convenienza di perpetuare uno status quo che non fa sognare sviluppo e ricchezza ma garantisce un'accettabile mediocrità, sorvegliata dalle forze armate e dai servizi, sostenuta da uno stato assistenziale e dalla mano pubblica che distribuisce sussidi a pioggia ricavati dalla rendita petrolifera e del gas. È questa in realtà un'Algeria ancora impaurita dalle rivolte arabe che tre anni fa sbalzarono i vecchi raìs dal potere sollevando grandi speranze ora deluse.

Ma soprattutto c'è una diffusa stanchezza generale per un copione già scritto: la rielezione alla testa dell'Algeria di un presidente assente dalla campagna elettorale, sfibrato da un ictus, una sorta di fantasma che guida un Paese dalle grandi risorse energetiche - fornisce un terzo del gas all'Italia - ma che non può certo rappresentare il futuro.

Il quarto, assai probabile, mandato di Bouteflika è il segnale della continuità ma anche della stagnazione. A poco valgono anche le proteste del suo maggiore concorrente, Ali Benflis che reclama per le frodi generalizzate. Ha annunciato che non riconoscerà il risultato delle elezioni presidenziali - il cui esito è atteso oggi - denunciando "brogli e irregolarità in tutto il paese". «Questa data - ha dichiarato Benflis - sarà ricordata per il grande crimine contro la nazione: la voce dei cittadini è stata soffocata». Poi ha però rivolto un appello a non rispondere alle provocazioni per non compromettere la stabilità del paese.

Ma anche in queste proteste di Benflis, sicuramente fondate, c'è qualche cosa di paradossale: fu lui alla fine degli anni '90, come capo dell'Fln, a guidare la prima campagna presidenziale di Bouteflika e a contribuire in maniera determinante a "costruire" il consenso intorno al presidente e a manovrare le schede elettorali. In Algeria forse l'unica elezione parzialmente regolare fu quella che portò il Fronte islamico di salvezza, Fis, a vincere il primo turno alle politiche del dicembre 1991: ma un mese dopo, l'11 gennaio 1992, i carri armati scendevano nelle strade di Algeri e i generali cancellavano il risultato uscito delle urne. Iniziò la reazione islamista e dei gruppi armati radicali combattuti con ogni mezzo, lecito e illecito, dalle forze di sicurezza in un conflitto durato un decennio con 150 mila morti.

Si può dire che, dopo quella tragica esperienza che ha segnato una generazione, il voto degli algerini sia "congelato": il quarto mandato di Bouteflika è il simbolo di quelle paure, del timore di ogni cambiamento che possa anche lontamente evocare gli anni di piombo.

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