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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2014 alle ore 08:15.

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Quando è cantato bene, come è vero Otello, come è efferato, violento, tragico, e ineluttabile. Giù, sprofondato in un abisso dell'anima dove solo la follia ha le sue ragioni, e non c'è nulla per poterla cambiare. Come è vero e attuale "Otello" di Verdi. Sembra scritto per oggi, per tutte le donne uccise per nulla, per un fazzoletto ricamato, per la parola che crea fantasie e fantasmi, inventando realtà feroci e tradimenti inesistenti e che si devono punire. Cantato benissimo al San Carlo, in una nuova produzione firmata a quattro mani col Massimo di Palermo, come sempre mai banale di Henning Brockhaus. È un Otello che conquista soprattutto per le voci, tutte a posto, non solo quelle della terna dei protagonisti, con i due ottimi Marco Berti e Roberto Frontali e la sorpresa della giovane Lianna Haroutounian. Tutti sono di livello. Da quelli che stanno sempre in scena fino all'araldo, di Antonio Di Matteo, che ha solo poche battute. E questa è la riprova di una compagnia che funziona, perché ha alle spalle una direzione artistica che sa, che vigila, che prepara.
È il secondo Verdi in questa stagione per Nicola Luisotti, direttore musicale del Teatro. E Otello vince su Aida, in particolare nei momenti più intimistici della scrittura. Là dove vengono individuati piccoli disegni espressivi, magari ricorrenti, là dove l'orchestra ha momenti tematici di ampia melodia, dal podio escono le parti migliori. E in crescendo, perché il primo atto, soprattutto nella tempesta, scivola piatto, senza incisività ritmica, senza colori. Mentre invece l'ultimo, con la tinta livida notturna, l'accompagnamento alla preghiera di Desdemona, quei funesti suoni isolati, presagio di tragedia, viene ben concertato, con sobrietà e funzionale al canto. Solo due suggerimenti: gesto più vario e curriculum meno celebrativo. «Acclamatissimo come interprete del repertorio sinfonico oltre che di quello lirico» è meglio lasciarlo dire al pubblico, non scriverlo sul programma.
Nella locandina trova spazio anche un personaggio mai previsto in Otello: il clown. Lo interpreta Jean Méningue, probabilmente una celebrità. Nonostante l'idea sia coerente con la tematica del circo che fa da pedale a molti ultimi spettacoli del San Carlo, nell'opera di Verdi non ci sta. La parata degli onnipresenti mimi, a metà tra acrobati e buffoni di corte, scappati da Rigoletto, è il tallone d'Achille della regia di Brockhaus. Per tre atti non si fa altro che chiedersi che cosa rappresentino (nel quarto per fortuna scompaiono). Nel duetto notturno del bacio, vengono a doppiare Otello e Desdemona, e uno pensa: ah, ecco, è una citazione del teatro dei pupi siciliani. Però così il bacio sulla «pleiade ardente che ormai discende» si svolge a quattro, anziché a due. Nel secondo atto i mimi sono diventati i feriti di guerra. Anche qui, mai visti e meglio archiviare l'idea. Desdemona canta coi bambini (sempre ottime le voci bianche del Teatro) e intanto distribuisce il rancio a questi poveretti, bendati, paralizzati, tremanti o in carrozzella. È un tocco di realismo, certo, che riporta agli esiti della battaglia per mare dell'inizio dell'opera, e di tutte le guerre del mondo. Ma qui non funziona.
Anche perché i feriti come sono apparsi, scompaiono, e non torneranno più. Al loro posto, in tema di distruzione, nell'ultimo atto vediamo in scena un pianoforte a coda sventrato, con le gambe all'aria e la tastiera divelta. Che vorrà dire? Di tutto e di più. Ma preferiamo nettamente della messinscena i momenti intensi, puliti, di pura recitazione. Dove Brockhaus, qui ripreso da Valentina Escobar, è maestro. Nel quartetto del secondo atto, ad esempio, o nel duetto del terzo, quando Desdemona parla di Cassio e Otello del fazzoletto, in un delirio di registri espressivi. Anche perché, appunto, la compagnia è ottima, con Antonello Ceron, Ventseslav Anastasov, Seun Pil Choi e Alessandro Liberatore, Lodovico e Cassio, voci giovani e davvero importanti. Anna Malavasi è Emilia, volitiva, incisiva. Lianna Haroutounian ha una intonazione e colori tanto luminosi che si fa perdonare qualche consonante mancata. Jago è il nobile Frontali, fraseggio bellissimo, parola scenica, verdiano perfetto. La violenza del Moro viene enfatizzata dalla scena kolossal di Nicola Rubertelli, ideale per il coro a battenti di Salvatore Caputo: Marco Berti, a parte un paio di semitoni scivolati, ha il vero squillo e il vero registro tenorile di Otello. San Carlo traboccante, alla seconda recita, e trionfo per tutti.
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Otello di Verdi; direttore Nicola Luisotti, regia di Henning Brockhaus; Napoli, Teatro di San Carlo, fino al 29 aprile

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