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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2014 alle ore 08:14.

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Il grande oratore Protagora si accordò con l'allievo Evatlo: mi pagherai le lezioni quando avrai vinto la tua prima causa. Nobile gesto, con poco nobili conseguenze, perché Evatlo non ha nessuna fretta di iniziare la carriera di avvocato. Protagora allora lo cita in giudizio. Se Protagora vincerà la causa, però, secondo il patto non potrebbe chiedere il pagamento allo sconfitto Evatlo. Se Protagora invece perderà, sarà l'esito della causa a impedire ancora una volta il passaggio di denaro dalle mani dell'allievo alle sue. Sembra un caso insolubile, e come tale è stato considerato, ma Leibniz scioglie l'apparente paradosso logico distinguendo tra merito della causa e procedura. Protagora infatti non ha diritto a far causa a Evatlo prima della scadenza del pagamento, quindi prima di una causa vinta da Evatlo. Il caso, quindi, non rientra tra i venticinque «casi perplessi» del diritto, raccolti in un breve testo di Gottfried Wilhelm von Leibniz ora disponibile in traduzione italiana, con ricco commento a cura dello storico del diritto Carmelo M. de Iuliis. Un caso "perplesso" del diritto romano comune è un caso difficile da risolvere, ma non perché ambiguo. L'ambiguità comporta infatti la debolezza di due conclusioni opposte, mentre la perplessità si dà quando i due partiti hanno entrambi fondate ragioni, dal latino perplexus, che rimanda all'involuzione, ma anche alla connessione di fatti e diritti incompatibili fra loro. Non sarà sufficiente quindi la logica formale per risolvere un caso perplesso, dovrà intervenire l'argomentazione retorica, con riferimento ai fatti più che ai diritti, e soprattutto richiamando il sempre imponderabile diritto "naturale".
Ci troviamo dunque di fronte a una prova dell'altissima scientificità che sostiene l'intero lavoro di Leibniz, colui che cercò di sistematizzare e dunque risolvere nell'inclusione tutto ciò che riguarda l'umano. I casi perplessi sono infatti un preciso elenco di eccezioni che confermano la regola. Da un lato quindi lo scienziato umilmente prende atto di dati che non sono riducibili ai principi del suo paradigma scientifico, dall'altro li circoscrive e definisce con precisione, perché non siano usati come armi contro il sistema, ma abbiano il ruolo appunto di eccezione, e di eccezione non aporetica: i venticinque casi infatti si risolvono utilizzando semplicemente altre armi rispetto alla logica, quali la retorica, il buon senso, il richiamo allo jus naturalis. Il tedesco che inventò la calcolatrice ma non poté costruirla, che iniziò la matematica al calcolo infinitesimale, che tentò una grammatica della lingua universale e una geografia simbolica dei concetti, che organizzò il mondo definendolo il migliore di quelli possibili, trovandovi posto per le forme del male, colui che avrebbe voluto ridurre a sistema anche Platone, poteva forse evitare la sfida con il Codice di Giustiniano? Non la evitò, i giuristi impararono a trattare le leggi e la loro applicazione secondo le regole della logica formale e furono così messi in guardia: le eccezioni sono solo questa manciata di casi perplessi, il resto è arbitrio.
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Gottfried Wilhelm von Leibniz, I casi perplessi in diritto (De casibus perplexis in iure), saggio introduttivo, traduzione e note di Carmelo Massimo de Iuliis, Giuffrè, Milano, pagg. 160, € 25,00

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