Notizie ItaliaRoncalli santo senza miracolo. Ecco perché Francesco lo canonizza
Roncalli santo senza miracolo. Ecco perché Francesco lo canonizza
23 aprile 2014
Una canonizzazione pro grazia di un predecessore non può essere considerato un gesto scontato. Troppo alto il rischio che la Chiesa glorifichi se stessa, esaltando i suoi capi. Eppure nel caso di Giovanni XXIII, papa Francesco ha rotto gli indugi e già nei primi mesi del suo pontificato aveva preso la decisione di canonizzare Angelo Roncalli, senza attendere il tradizionale miracolo che avrebbe dovuto rivelarne inequivocabilmente la santità.
Il pontefice argentino ha fatto proprie le motivazioni presentate dalla Congregazione delle cause dei santi su istanza della postulazione generale dell'Ordine dei Frati minori, alla quale fin dall'inizio era stata affidata la causa di beatificazione e canonizzazione del papa di origine bergamasca. La supplica al pontefice motivava il ricorso alla canonizzazione pro grazia con: il regolare percorso della causa fino alla beatificazione, la vastità del culto liturgico e della fama di santità che accompagna nel popolo di Dio la memoria di Giovanni XXIII, oltre alla richiesta di padri del Concilio Vaticano II che, subito dopo la morte del papa, auspicarono la sua immediata canonizzazione come atto del Concilio stesso. Infine l'attualità della figura e dell'opera di papa Giovanni.
Jorge Mario Bergoglio in più occasioni ha mostrato di considerare di grande ispirazione la figura e l'opera di Angelo Roncalli, per se stesso come pontefice e per il tempo in cui stiamo vivendo. Lo scorso anno, ad esempio, si sono celebrati i 50 anni dell'enciclica Pacem in terris, testo fondamentale del magistero giovanneo negli anni Sessanta, gli anni delle contrapposizioni Est-Ovest e del rischio di escalation nucleare. Celebrando la ricorrenza Bergoglio ha detto che «l'Enciclica del beato Giovanni XXIII ci ricorda chiaramente che non ci può essere vera pace e armonia se non lavoriamo per una società più giusta e solidale, se non superiamo egoismi, individualismi, interessi di gruppo e questo a tutti i livelli». Poi, traducendo nella contemporaneità la lezione di Roncalli, ha parlato della crisi economica mondiale come di un sintomo grave della mancanza di rispetto per l'uomo e per la verità con cui sono state prese decisioni da parte dei governi e dei cittadini.
«I semi di pace gettati dal beato Giovanni XXIII hanno portato frutti. Eppure, nonostante siano caduti muri e barriere, il mondo continua ad avere bisogno di pace e il richiamo della Pacem in terris rimane fortemente attuale», ha commentato Bergoglio, per il quale non ci può essere vera pace e armonia se non si lavora per una società più giusta e solidale, se non si superano egoismi, individualismi, interessi di gruppo. Come fare, nel concreto? Promuovendo e praticando la giustizia, con verità e amore; contribuendo, ognuno secondo le sue possibilità, allo sviluppo umano integrale, secondo la logica della solidarietà - sostiene il papa venuto quasi dalla fine del mondo - a partire dal soddisfacimento dei bisogni primari che ogni comunità politica deve vedere come obiettivo: il diritto al cibo, all'acqua, alla casa, alle cure sanitarie, all'istruzione, alla famiglia.
Un altro aspetto che deve aver suscitato l'ammirazione di Bergoglio per Roncalli è quello che ha portato il papa bergamasco a indire il Concilio Vatcano II, ossia la necessità di una "conversione al mondo" della Chiesa, non nel senso di uno stravolgimento dei propri valori, ma nel cambiamento dell'approccio verso la cultura contemporanea. Una testimonianza di questo atteggiamento la si ritrova nella differenza tra missione e proselitismo, differenza fatta rimarcare da Francesco nel corso dell'intervista a Eugenio Scalfari («Il proselitismo è una solenne sciocchezza»), ma già ampiamente preparata da Giovanni XXIII e, ovviamente dal Vaticano II. In una lettera a un seminarista ortodosso bulgaro dell'allora visitatore apostolico cattolico Angelo Roncalli, conservata dal segretario di una vita, Loris Capovilla, si legge: «I Cattolici e gli Ortodossi non sono dei nemici, ma dei fratelli. Abbiamo la stessa fede; partecipiamo agli stessi sacramenti, soprattutto alla medesima Eucaristia. Ci separano alcuni malintesi intorno alla costituzione divina della Chiesa di Gesù Cristo. Coloro che furono causa di questi malintesi sono morti da secoli. Lasciamo le antiche contese, e, ciascuno nel suo campo, lavoriamo a rendere buoni i nostri fratelli, offrendo loro i nostri buoni esempi».
Nessun desiderio di conversione, quindi, ma stimolo affinché ciascuna Chiesa testimoni al meglio ai suoi fedeli il Vangelo di Cristo e lo metta in pratica concretamente. Una scelta tra le tante di Giovanni XXIII che devono essergli valse, agli occhi di Francesco, le prove inconfutabili del sigillo di santità che la Chiesa oggi si trova ad apporre sulla sua esistenza terrena. (Massimo Donaddio)