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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2014 alle ore 11:15.
L'ultima modifica è del 23 aprile 2014 alle ore 11:18.

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Jose Mourinho (AP Photo)Jose Mourinho (AP Photo)

Il grande pregio di Mourinho, a mio modesto avviso, è quello di non tentare di vincere le partite che sa di non poter vincere. Come quella di ieri sera in casa dell'Atletico Madrid. Punta così a non perderle, ben sapendo che in Champions (come ai Mondiali...) è possibile portare a casa la Coppa a colpi di pareggi e rigori. Riuscendo a non perdere, tra l'altro, non si mai cosa può succedere in attacco, dove un gol può scatutire da una singola azione felice o da un errore degli avversari.

Credo che analizzando la partita di ieri molti abbiano commesso due errori gravi: sminuire il valore del calcio difensivo e parlare di Catenaccio. Andiamo con ordine.

La moda dello spettacolo a tutti i costi ha generato negli ultimi anni una sorta di isteria collettiva nei confronti di chi imposta le partite con una fase difensiva prevalente. Meglio vedere incontri che finiscono 4-3 che 0-0. In generale può essere vero, ma da un punto di vista squisitamente tecnico ci sono 0-0 (e quello di ieri sera è uno di questi) che insegnano molto di più rispetto a valanghe di gol segnate con evidente colpa della difesa avversaria.

La fase difensiva è quella che più di ogni altra mette in luce la capacità tecnica e tattica di un allenatore: le strategie difensive, se ben adeguate alle caratteristiche degli uomini che si hanno a disposizione, hanno maggiore possibilità di riuscita rispetto agli schemi di attacco. Consentono di indirizzare un incontro sui binari più favorevoli alla propria squadra, permettono di giocare partite contro avversari che, nella forza dei singoli e del complesso di squadra, sono decisamente superiori. È quello che ha fatto Simeone nei quarti contro il Barcellona, è quello che lo stesso Simeone ha subìto dal Chelsea di Mourinho. Che l'ha costretto a giocare una partita che l'Atletico non sa giocare, con le tre linee di difesa, centrocampo e attacco molto lontane tra loro e non schiacciate in pochi metri come sono abituate a fare di solito.

Il buon gioco difensivo, al di là delle mode, è quello che rende possibile l'incertezza del risultato nel calcio: se esistesse solo l'attacco le partite sarebbero in gran parte scontate. Mourinho è un maestro del gioco difensivo, che poi la partita possa sembrare noiosa è trascurabile: anche perché, ripeto, è noiosa solo come spettacolo, mentre dal punto di vista tecnico è un clinic offerto a titolo gratuito.

Il secondo errore, a mio avviso ancor più grave, è quello che si commette parlando di Catenaccio. Capisco che il termine è entrato nell'uso comune come sinonimo di "difesa strenua e a tutti i costi", ma il non corretto utilizzo del termine da parte dei tecnici non permette di apprezzare in modo compiuto le alchimie tattiche di Mourinho (nel caso di ieri sera) e di altri allenatori (come lo stesso Simeone contro il Barcellona) che impostano schemi difensivi lontani anni luce dal Catenaccio, quello vero.

Lo schema difensivo così chiamato si afferma dopo la seconda guerra Mondiale, come evoluzione del "Metodo" (o W) e del Sistema (o WM). Rubo qualche secondo per spiegare, potrebbe essere interessante per meglio capire la partita di ieri.

Il Metodo, giocato negli anni 20 e 30, era stato adottato dagli uruguaiani che, otre ai mondiali del 1930, avevano vinto le Olimpiadi del 1924 e 1928. Prevedeva di fatto lo schieramento preciso (a W, per l'appunto) solo dei cinque giocatori di attacco: due mezzali, che giostravano accentrandosi all'altezza della linea di centrocampo, e tre attaccanti (due ali e un centravanti) sulla stessa linea di attacco a metà strada tra centrocampo e area di rigore avversaria. Con la terminologia moderna parleremmo di un 2-3 per lo schieramento di attacco. La difesa era molto diversa da come siamo abitutati a concepirla oggi: i terzini erano di fatto due difensori centrali ma non avevano alcun obbligo di marcatura. Le ali avversarie erano affidate ai laterali, che stazionavano su una linea poco avanzata rispetto ai due terzini centrali, mentre il centravanti veniva preso in consegna dal centromediano, che gravitava nella zona tra la propria area di rigore e la linea di centrocampo. Al centromediano, oltre al compito di marcatura, era affidato il doppio ruolo di regista di difesa e di attacco. Se volessivo ridurre il "Metodo" (o W) ai numeri di oggi dovremmo parlare di un 2-3-2-3.

L'evoluzione del Metodo fu ideata dagli inglesi negli anni 30: prevedeva una difesa meno affollata, per rinforzare il centrocampo, e di fatto rivoluzionava l'impostazione tattica degli uruguayani. Che fosse stato ideato dagli inglesi era quasi naturale, visto che richiedeva una notevola prestanza atletica, doti di fondo e importanti qualità di corsa per l'intero arco della partita. Tutte caratteristiche che per gli inglesi erano pane quotidiano, anche vista la qualità dei campi di gioco spesso fradici per le frequenti piogge: palla lunga e pedalare, insomma. Il Sistema (o WM) si differenziava dal Metodo perché lo schieramento con posizioni precise in attacco e in difesa diventava quello che oggi chiameremmo 3-2-2-3: il centromediano era arretrato sulla linea dei terzini, che avevano il compito di marcare le ali (nel Metodo erano liberi da doveri di marcatura, ricordate?). I mediani erano di fatto quattro: due difensivi, appena prima della linea di centrocampo, e due offensivi schierati appena oltre. In questo modo si formava un quadrilatero con spazi molto larghi tra i giocatori, il che consentiva di migliorare l'impostazione offensiva rispetto all'intasamento generato dal Metodo. I tre attaccanti erano messi in campo nelle stessa posizione del Metodo (un centravanti e due ali) ma ricevevano supporto da quattro compagni (i mediani) invece che da tre (il centromediano e le due mezzali del Metodo).

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