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La domenica dei due Papi Santi
di Carlo MArroni | 25 aprile 2014
Erano passate appena ventiquattro ore dalla sua elezione a Papa quando prese su due piedi la decisione. Apparentemente di portata ridotta, ma in realtà molto profonda, visto che si trattava di atti vecchi di secoli e codificati sulla pietra della corte papale. Giovanni XXIII la mattina del 29 ottobre 1958 - era stato eletto il 28, attorno alle 17 - abolì il bacio al piede (il "bacio della pantofola", espressione ancora usata nel linguaggio comune per bollare uno stucchevole atto di sottomissione al potere costituito) e l'incensazione del Papa fatta in ginocchio, oltre a dispensare dalla triplice genuflessione nelle udienze. Ricorda il novantenne Loris Capovilla, suo storico segretario e da pochi giorni cardinale, che il rapporto conflittuale di Roncalli con i formalismi è ben noto, ma spesso si esagera nel dipingerlo come irrituale e anticonformista. In realtà le bardature papali - delle quali pur riconosceva un'antica legittimità - più che infastidirlo lo divertivano e in parte lo stupivano. Comunque decise di cambiare, perché era l'ora, e la forma molto spesso è sostanza.
Anche Karol Wojtyla, da giovane arcivescovo di Cracovia, avrà a che fare con le "bardature". Ma il contesto nel suo caso era del tutto differente. La scena si svolse oltrecortina negli anni bui della repressione e di piena guerra fredda. Nel dicembre 1963 fece il suo ingresso trionfale in diocesi, e scelse di indossare i paramenti antichissimi e preziosi dei predecessori medioevali. Un vezzo da fiero vescovo conservatore? No. Solo un modo, decisamente molto efficace a quanto risulta dai riscontri successivi, per ricordare a tutti ma soprattutto al potere politico-statale saldamente in mano al regime, l'importanza della Chiesa cattolica per la storia della nazione polacca. Come poi si vedrà vent'anni dopo.
Due santi. Due stili. Due storie. Ma legati in modo indissolubile dall'aver ridato alla loro Chiesa nel momento della loro elezione al ministero petrino un nuovo straordinario vigore. E la cosa che salta all'occhio è che a mettere il sigillo all'elevazione agli altari di due giganti del XX secolo (con un'appendice fondamentale nel XXI) se ne incarica il Papa venuto "dalla fine del mondo" che ha ricompattato il suo popolo, assurgendo a una leadership planetaria un po' come lo sono stati in diverse epoche e differenti modalità i due santi.
Ma c'è un collante forte che lega i "tre Papi" che saranno in piazza San Pietro domenica 27 aprile, uno davanti all'altare, gli altri con i ritratti appesi sulla facciata della basilica?
«I due Pontefici hanno parlato direttamente al cuore della gente, come fa ogni giorno papa Francesco», dice padre Federico Lombardi, gesuita, direttore della sala stampa vaticana dal 2006. «Però credo che la bellezza e la forza del papato sia il frutto della varietà e dalla ricchezza di tutti i pontificati che si sono susseguiti, quindi credo che la realtà vada letta guardando anche a Paolo VI e Benedetto XVI. Solo nell'insieme, penso, si possa leggere la ricchezza del magistero». L'evento-chiave di quest'anno, quindi, è la santificazione contemporanea di due pontefici che hanno tracciato la storia della Chiesa ma anche del mondo, visto il ruolo di Roncalli per la pace e di Wojtyla per l'abbattimento del muro di Berlino.
Per Alberto Melloni, storico della Chiesa e guida della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, il collante è il Concilio. «La decisione di papa Francesco di proclamare la santità di Roncalli "pro gratia", cioè senza l'accertamento del miracolo post-beatificazione, è il segno di voler liberare il Concilio da quell'aria di sospetto che lo ha avvolto per molto tempo e anche un ossequio alla richiesta dell'aula conciliare di farlo "santo subito", che forse fu un piccolo eccesso ma che rivelava un'intuizione di verità. Il papa argentino ha avvertito il peso della faciloneria ideologica che ha gravato sul Concilio e lo ha messo sotto la cifra della grazia». Infatti per Melloni - che parla di Roncalli come "San Giovanni del Concilio" - quando il Papa attuale spesso ripete «non sono marxista» è un'affermazione a suo parere legata proprio alle accuse che per anni furono rivolte all'episcopato latino-americano, guardato con sospetto prima per le posizioni pro-conciliari poi per la teologia della liberazione, posizioni viste con cautela se non di aperto contrasto da larghe fasce dell'episcopato europeo. «Prima Roncalli, poi Wojtyla, che fu un padre conciliare importante e che proclamò beato Giovanni XXII, e poi metto in successione anche Paolo VI, che orami è prossimo anche lui alla beatificazione» e indica come data possibile l'8 dicembre 2015, per il cinquantesimo della chiusura del Vaticano II, anche se dentro il Vaticano c'è chi scommette che questo possa avvenire prima di quella data visto lo stato di avanzamento del processo di beatificazione.
Due Santi, quindi, di enorme seguito popolare, anche se molto diversi tra loro come devozione. Infatti Roncalli è molto legato alla tradizione "italiana", mentre Wojtyla è certamente più globale, specie in America Latina e in Africa, oltre che nelle sue terre di Polonia.
Per il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, il tratto comune è anche la vicinanza al popolo ebraico. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati «due grandi papi che hanno cambiato positivamente la storia delle relazioni della Chiesa con l'ebraismo, e questo è per tutti un segno di speranza». E rivolto a Bergoglio il rabbino ricorda l'imminente visita di papa Francesco nello Stato d'Israele - oltre che in Giordania e Palestina - dove si recherà tra gli altri luoghi anche al Muro del Pianto e al Memoriale di Yad Vashem: «La nostra preghiera è che possa contribuire significativamente a una pace politica e religiosa». Con la sua visita del 13 ottobre 1986 alla Sinagoga di Roma, primo Pontefice a pregare in un tempio ebraico, è stato oggettivamente Giovanni Paolo II il protagonista di un passo irreversibile nella distensione dei rapporti tra cattolici ed ebrei, già avviata col pontificato di Giovanni XXIII (fu Roncalli nel 1959 a benedire gli ebrei che un sabato uscivano dal Tempio maggiore, come pure a sopprimere l'espressione "perfidi giudei" nella liturgia del Venerdì Santo) e sancita poi con la dichiarazione conciliare "Nostra aetate". Ma va aggiunto che Paolo VI andò in Terra Santa - e il viaggio di Bergoglio tra un mese infatti ricorda il 50° anniversario dell'incontro storico con il patriarca ortodosso Atenagoras - e lo stesso ha fatto anni dopo, nel 2009 papa Benedetto XVI, un viaggio che ha rappresentato uno dei punti più evidenti del suo pontificato.