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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2014 alle ore 08:13.

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L'Irlanda ha detto addio alla troika Ue-Bce-Fmi lo scorso dicembre. Il Portogallo lo farà tra poche settimane. Dublino è uscita dal programma senza una rete di sicurezza di ulteriori prestiti precauzionali, contando sulla rinnovata fiducia degli investitori. Lisbona con ogni probabilità sceglierà la stessa strada, confortata dal successo della prima asta decennale di titoli di Stato. Persino la Grecia, il cui programma di sostegno scade nel 2016, ha ricevuto un'ottima accoglienza sul mercato quando ha collocato bond a cinque anni all'inizio del mese. E la Spagna, anch'essa finanziata da Ue e Fmi per salvare le sue banche, negli ultimi mesi fa notizia per le promozioni delle agenzie di rating e per le revisioni al rialzo delle stime di crescita, non più per i buchi delle Cajas o il crollo dei prezzi immobiliari.
L'ottimismo che sta contagiando i «Pigs» non deve però far dimenticare che la strada della risalita è ancora lunga e impervia. La fiducia dei mercati è infatti una variabile che può cambiare repentinamente: gli investitori a caccia di rendimenti potrebbero presto tornare in massa negli Stati Uniti se la Fed dovesse mandare segnali di una restrizione della politica monetaria e in quel caso le prime vittime sarebbero certo i Paesi emergenti, ma poi potrebbe toccare ai «Pigs». Quanto alla ripresa economica, è ancora tutto da dimostrare che sia vigorosa e sostenibile. Le incertezze insomma sono ancora tante, mentre le certezze sono i pesanti costi sostenuti per rispettare i dettami della troika: redditi in forte calo e disoccupazione alle stelle. È dunque giusto celebrare l'uscita dai piani di salvataggio, ma è troppo presto per i bilanci.

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