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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2014 alle ore 16:28.

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E' mancato questa notte all'eta di 89 anni l'imprenditore siderurgico Emilio Riva. Il fondatore dell'omonimo gruppo e proprietario dell'Ilva, la società sottoposta sin dal luglio di due anni fa all'azione dei magistrati di Taranto e oggi commissariata dal Governo, era da tempo ammalato. In particolare, i suoi problemi di salute - che si erano intensificati durante il lungo periodo di arresti domiciliari - riguardavano una patologia alle ossa e alla gola. Nelle ultime settimane, era stato necessario un ricovero al Policlino di milano. I medici avevano comunque predisposto che l'anziano imprenditore trascorresse le ultime vacanze di Pasqua, a casa, nella villa di Malnate, vicino Varese insieme alla sua numerosa famiglia.

E adesso? Adesso la situazione si fa dura, durissima. Emilio Riva era il fondatore di un grande gruppo industriale. Ma, soprattutto, era il capofamiglia. Tutti – figli, nipoti, mogli – gli riconoscevano quell'autorità e quel comando che, del capitalismo famiglia europeo, rappresenta insieme un punto di forza e un punto di debolezza. La sua scomparsa aggroviglia ancora di più il gomitolo – fatto di ferro e di magistratura, di coke e di ambiente, di commissariamento governativo e di salute, di riconversione produttiva e di avvitamento finanziario – che rende l'Ilva una vicenda maledettamente complessa.

Semplificando: l'Ilva è commissariata, ma i Riva continuano a esserne i proprietari. La prospettiva – a meno che non vi siano colpi di scena, collegati anche al mutamento di scenario provocato da questo lutto – è quella di un aumento di capitale. Prima ancora di chiamare un aumento di capitale, Bondi mostrerà il piano industriale alla famiglia lombarda, la quale dovrà fargli pervenire dei commenti (positivi o negativi) sull'ipotesi di conversione graduale al metano dell'impianto, che rappresenterebbe un vero mutamento di paradigma per l'acciaieria di Taranto. Chiose al piano industriale e adesione o meno all'aumento di capitale, stimabile in 1,8 miliardi di euro, che serve per finanziarlo: chi farà la sintesi fra le posizioni espresse dai numerosi membri della famiglia? E chi deciderà se e quanti soldi mettere nell'aumento di capitale?

Capitolo Arcelor Mittal: la multinazionale franco-indiana si è mossa con cautela, ma ha mostrato un interesse reale per una partecipazione strategica, magari in cordata con più piccoli (e meno liquidi) gruppi italiani. Con chi parleranno i manager di Arcelor Mittal? Scenario italiano e scenario internazionale. Questione giudiziaria e ipotesi sull'assetto azionario. "Fino a marzo – racconta un banchiere – il Signor Emilio è stato assolutamente lucido. Nell'ultimo periodo la malattia e l'età, la stanchezza e la rabbia per una situazione considerata ingiusta hanno provocato in lui più di un annebbiamento". Una condizione umana di grave difficoltà che, fin dalle ultime settimane, ha posto un problema significativo ai banchieri, impegnati nel complesso lavoro di cucitura di un affaire in cui le due controparti – i Riva proprietari da un lato, la struttura commissariale guidata da Enrico Bondi e da Edo Ronchi dall'altra – non si parlano.

Entro la prossima settimana le tre banche (Banco Popolare, UniCredit e Intesa Sanpaolo) dovrebbero ricevere da Roland Berger l'analisi del piano industriale di Bondi. I consulenti esprimeranno le loro valutazioni sulla sua fattibilità. A quel punto, non appena il piano ambientale avrà ricevuto quel placet dalla Corte dei Conti che stenta ad arrivare, prenderà il via l'iter tecnico per il piano industriale. Alla fine della road map, però, ci sarà – come sempre – il problema dei soldi. I Riva li metteranno o no? E quanti? Di certo, l'assenza dell'autorità semplificatoria di Emilio e la mancanza del carisma riconosciutogli da tutti i familiari potrebbero costituire ulteriori pietre di inciampo.

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