Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2014 alle ore 06:39.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:21.

My24

La crisi tra Russia e Unione Europea non ferma i preparativi per South Stream, il gasdotto voluto da Vladimir Putin per arrivare in Europa (in Austria, forse, invece che in Italia) senza passare dall'Ucraina. Negli impianti della tedesca Europipe, nel cuore della Ruhr, è iniziata la produzione dei tubi che andranno a comporre la prima delle quattro linee: a 2.200 metri di profondità attraverseranno il Mar Nero tra Anapa (Russia) e Varna (Bulgaria). Oltre alle sfide politiche, il progetto deve affrontare difficoltà tecniche senza precedenti. La posa dei tubi di Europipe spetterà a Saipem: la prima linea sarà operativa entro fine 2015.

MUELHEIM - Quando un tubo - nove tonnellate di acciaio lunghe 12 metri - viene fatto rotolare da una fase di controllo all'altra, il rumore che fa sembra un rombo di tuono. Ma a parte questo ogni altra eco resta lontana, che siano le preoccupanti notizie dall'Ucraina orientale o l'allargarsi della ragnatela delle sanzioni internazionali contro la Russia. La politica non vuole entrare negli impianti di Mülheim, bacino della Ruhr, dove la tedesca Europipe ha iniziato da poche settimane a costruire la prima delle quattro linee che comporranno South Stream.

Sarà Saipem a posare i tubi in fondo al Mar Nero. Ieri il gruppo italiano, che cura le connessioni alla terraferma di tutte le quattro linee, si è aggiudicato anche il contratto da 400 milioni per fornire lavori di supporto al secondo braccio, che verrà posato dalla svizzera Allseas: Saipem seguirà la predisposizione degli attraversamenti sottomarini dei tubi, il coordinamento dei cantieri di stoccaggio, il collegamento alle sezioni di approdo. South Stream si tufferà ad Anapa, costa orientale del Mar Nero a un passo dalla Crimea (e infatti Vladimir Putin già pensa di aggiungere una deviazione), e dopo 930 km riemergerà in Bulgaria.

Diritto per la sua strada, malgrado tutto? «Il cliente è estremamente determinato ad andare avanti», aveva detto pochi giorni fa Umberto Vergine, amministratore delegato di Saipem. E il cliente è la South Stream Transport B.V., joint venture con sede ad Amsterdam di cui fanno parte Gazprom (50%), Eni al 20%, i francesi di Edf e i tedeschi di Wintershall, con una quota del 15% ciascuno. Il consorzio ha la responsabilità del tratto offshore, non delle parti del gasdotto che attraverseranno sulla terraferma i Balcani fino all'Italia, basandosi sugli accordi intergovernativi con Bulgaria, Serbia, Ungheria e Slovenia che hanno suscitato le obiezioni della Ue. Ed è solo alla South Stream Transport, nel quartier generale di Europipe, che fa riferimento l'amministratore delegato Michael Gräf a chi gli chiede se non è preoccupato per il possibile impatto di una crisi tra la Russia e l'Unione Europea. «Noi abbiamo un contratto con una compagnia olandese - taglia corto -. Abbiamo iniziato i lavori in aprile, li finiremo tra un anno. Le domande politiche non sono per noi».

È questa la linea: se a causa della politica il futuro è «fosco», come lo ha descritto Paolo Scaroni, le ragioni economiche e industriali di un progetto non cambiano per chi è impegnato a portarlo a termine. «L'intero impianto di Mülheim è dedicato a South Stream», dice Gräf. Accanto alle controversie politiche, del resto, al gasdotto voluto da Putin per passare alla larga dall'Ucraina le sfide non sono mai mancate. «A questa profondità un gasdotto di queste dimensioni non era mai stato posato», racconta Jasper Jansen, portavoce di South Stream Transport, facendo notare come il Mar Nero abbia tra l'altro la caratteristica di scendere bruscamente e all'improvviso fino ai 2.200 metri. «Per questo - aggiunge - nella scelta delle compagnie abbiamo cercato chi avesse già fatto questa esperienza».

Nell'impianto di Mülheim, è evidente che l'ordine South Stream - che significa lavoro per 700 persone - non è come tutti gli altri. Ludwig Oesterlein, responsabile dello stabilimento, illustra i procedimenti di controllo aggiunti specificamente per le condizioni in cui abiterà il gasdotto. Duemila tonnellate di lastre di acciaio (tedesco) entrano ogni giorno per uscire sotto forma di 240 dei 75mila tubi che comporranno la prima linea, e che dovranno sopportare una pressione interna di 300 bar, oltre a quella esterna. Automatizziamo il più possibile, spiega Oesterlein, ma nei dettagli non si può fare a meno di un uomo: e sono uomini, non macchine, quelli che si infilano con una torcia in mano lungo quei 12 metri di acciaio di 81 cm di diametro per verificare visivamente che nessun difetto possa compromettere la tenuta del tubo, o la prossima saldatura. Una serie di test infinita, nulla sembra lasciato al caso. Politica a parte, naturalmente. E se si bloccasse tutto? «No - dice Oesterlein - non abbiamo un piano B. Siamo dedicati a questo progetto completamente. Fermarlo, significherebbe fermare l'impianto».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi