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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2014 alle ore 12:39.
L'ultima modifica è del 04 maggio 2014 alle ore 17:35.

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Sono le diseguaglianze sociali sempre più marcate «il vero male che corrode l'Italia». Ad affermarlo è il Censis, secondo cui «i dieci uomini più ricchi del Paese dispongono di un patrimonio di circa 75 miliardi di euro, pari a quello di quasi 500mila famiglie operaie messe insieme».

Non solo: poco meno di 2mila italiani «paperoni», membri del club mondiale degli ultraricchi, dispongono di un patrimonio complessivo superiore a 169 miliardi (escluso il valore degli immobili), cioé lo 0,003% della popolazione possiede una ricchezza pari a quella del 4,5% della popolazione totale.

Le distanze nella ricchezza sono cresciute nel tempo

Oggi, in piena crisi, il patrimonio di un dirigente é pari a 5,6 volte quello di un operaio, mentre era pari a circa 3 volte vent'anni fa. Il patrimonio di un libero professionista é pari a 4,5 volte quello di un operaio (4 volte vent'anni fa). Quello di un imprenditore é pari a oltre 3 volte quello di un operaio (2,9 volte vent'anni fa). Rispetto a dodici anni fa, i redditi familiari annui degli operai sono diminuiti, in termini reali, del 17,9%, quelli degli impiegati del 12%, quelli degli imprenditori del 3,7%, mentre i redditi dei dirigenti sono aumentati dell'1,5%. L'1% dei «top earner» (circa 414mila contribuenti italiani) si é diviso nel 2012 un reddito netto di oltre 42 miliardi di euro, con redditi netti individuali che volano mediamente sopra i 102mila euro, mentre il valore medio dei redditi netti dichiarati dai contribuenti italiani non raggiunge i 15mila euro. E la quota di reddito finita ai «top earner» é rimasta sostanzialmente stabile anche nella fase di crisi.

La crisi e il rischio di un ritorno al conflitto sociale

Negli anni della crisi (tra il 2006 e il 2012), i consumi familiari annui degli operai si sono ridotti, in termini reali, del 10,5%, quelli degli imprenditori del 5,9%, quelli degli impiegati del 4,5%, mentre i consumi dei dirigenti hanno registrato solo un -2,4%. «Distanze già ampie che si allargano, dunque - rilevano i ricercatori del Censis - compattezza sociale che si sfarina, e alla corsa verso il ceto medio tipica degli anni '80 e '90 si é sostituita oggi una fuga in direzioni opposte, con tanti che vanno giù e solo pochi che riescono a salire. In questa situazione é alto il rischio di un ritorno al conflitto sociale».

La nascita di un figlio e il rischio povertà
Le iniquità sociali non riguardano solo patrimoni e redditi, ci sono anche eventi della vita che generano diversità. Come avere o non avere bambini: la nascita del primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in povertà (nel primo caso il rischio riguarda l'11,6%, nel secondo caso il 13,1%). Ma la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il rischio di finire in povertà (20,6%) e la nascita del terzo figlio lo triplica (32,3%). Inoltre, avere figli raddoppia il rischio di finire indebitati per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli: il rischio riguarda il 15,7% nel primo caso, il 6,2% nel secondo caso.
Anche la geografia ha il suo peso: il rischio di finire in povertà é, per i residenti nel sud (33,3%), triplo rispetto a quelli del nord (10,7%) e doppio rispetto a quelli del centro (15,5%). Al sud (18%) i residenti hanno anche un rischio quasi doppio di finire indebitati rispetto al nord (10,4%) e di 5 punti percentuali più alto rispetto a quelli del centro (13%).

Irpef: se bonus 80 euro resta 3,1 miliardi al consumo

Secono le stime del Censis, se gli 80 euro al mese in più diventeranno un bonus permanente, 3,1 miliardi saranno destinati ai consumi nei prossimi otto mesi. I comportamenti dei 10 milioni di italiani che beneficeranno dell'agevolazione Irpef da maggio a dicembre «saranno molto diversi se l'introduzione del bonus sarà strutturale o se invece non avrà continuità nel tempo». Nel caso in cui gli 80 euro costituiranno un incremento una tantum del reddito, il Censis ritiene infatti che 2,7 miliardi di euro (dei 6,7 miliardi totali previsti dal decreto del governo) andranno ad alimentare la domanda interna.

Per la precisione, 2,2 milioni di beneficiari del provvedimento impiegheranno tutti gli 80 euro mensili in consumi, per una spesa pari a 1,5 miliardi negli otto mesi mentre altri 2,7 milioni di beneficiari li spenderanno solo in parte per consumi, per un valore di 1,2 miliardi di euro (e destineranno 700 milioni ad altro). Invece, 5 milioni di beneficiari useranno il bonus esclusivamente per impieghi diversi dai consumi (risparmi, pagamento di debiti, ecc.), per un ammontare di 3,3 miliardi di euro.
Nel caso in cui il bonus di 80 euro costituirà una modifica fiscale permanente, e quindi comporterà un incremento stabile e sicuro dei redditi dei beneficiari, il Censis stima che l'incremento della spesa per consumi nei prossimi otto mesi sarà superiore a 3,1 miliardi di euro, circa il 15% in più rispetto al caso in cui il bonus non venga rinnovato nel prossimo anno. In questo caso sarebbero circa un milione in più le persone che destinerebbero tutti o in parte gli 80 euro ai consumi.

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