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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2014 alle ore 08:12.

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ROMA
Due giorni di intenso lavoro e di contatti serrati con banche e azionisti per trovare un accordo e presentarsi martedì mattina, davanti al numero uno di Etihad, James Hogan, con una proposta che convinca gli emiratini a convolare a nozze con Alitalia. Sul tavolo dell'amministratore delegato di Alitalia, Gabriele Del Torchio - che domani sera atterrerà ad Abu Dhabi con il presidente Roberto Colaninno - ci sono diverse ipotesi e, tra queste, si starebbe valutando anche l'idea di costituire una newco operativa in cui far confluire tutti gli asset tenendo fuori pendenze pregresse e debiti che Abu Dhabi non vuole accollarsi.
Il modello, al vaglio dei legali che ne stanno analizzando la fattibilità, ricalcherebbe in parte lo schema seguito oltreconfine dagli alleati transalpini, quando, nel 2004, dalla fusione tra Air France e l'olandese Klm, nacque una nuova holding a capo delle due società operative, che hanno mantenuto la loro identità e la gestione commerciale. In sostanza, il primo step potrebbe essere la creazione della newco operativa, partecipata al 100% da Alitalia, per poi far entrare gli emiratini con un aumento di capitale che li porterebbe fino al 49% del capitale.
Resta il problema del pregresso. Una delle strade allo studio, ma non ci sono certezze per ora, è la costituzione di una "old" company, una sorta di "Alitalia 2", in cui trasferire i contenziosi legali e fiscali nei primi cinque anni di Alitalia-Cai che valgono circa 400 milioni di euro (200 milioni quelli legati al mancato matrimonio con WindJet). I vertici del gruppo confidano che non ci saranno brutte sorprese su quel fronte - tanto più dopo la richiesta di archiviazione formulata dalla procura di Catania - ma Hogan vuole una cesura netta tra vecchia e nuova Alitalia.
Più complesso il nodo del debito. Venerdì, a Milano, Del Torchio ha raccolto dalle banche una maggiore flessibilità ad affrontare l'argomento, ma nessun disco verde definitivo. L'impegno che si chiede, soprattutto ai due istituti più esposti, Intesa Sanpaolo e UniCredit (che sono anche azionisti del gruppo), non è da poco. Anche perché, alla principale condizione posta dagli emiratini (svalutazione dei crediti o trasformazione in equity di una consistente fetta dei debiti, circa 400 milioni), si affianca la richiesta, avanzata a tutti gli azionisti, di un ulteriore sforzo su eventuali altre perdite che dovessero emergere nel 2014. Finora tutto si è svolto come da piano e Del Torchio è convinto che i risultati del 2014 saranno in linea con quanto annunciato a luglio, ma Etihad vuole essere certa che la sua "dote" (circa 560 milioni) vada a favore dello sviluppo e non serva a coprire buchi di bilancio o strascichi giudiziari o fiscali.
Il premier Matteo Renzi ha chiesto di essere costantemente informato. Per questo, nei giorni scorsi, il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, è stato ricevuto a Palazzo Chigi, ma su Alitalia vigilano anche il sottosegretario, Graziano Delrio, e Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del Mef, che, già da consigliere economico di Palazzo Chigi nel governo Letta, si era mosso per avviare un canale con Abu Dhabi.
Ieri sulla questione sono poi tornati i sindacati. «Bisogna fare l'azienda nuova senza la quale non ci saranno posti di lavoro», ha detto all'agenzia TMNews il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. La segretaria della Cgil, Susanna Camusso, ha chiesto, invece, di conoscere il «piano industriale. Senza, tutto il resto appare forzato». Fiducioso, infine, il numero uno della Uil, Luigi Angeletti. «Se alla fine andrà tutto come speriamo, cioè l'investimento si realizzerà, sarà un fatto positivo per Alitalia, ma anche per il sistema paese».
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