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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2014 alle ore 08:14.

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Qualche tempo fa, al Teatro Franco Parenti, mi sono trovato in una situazione che in tanti anni di frequentazioni teatrali non mi era davvero mai capitata: stavo uscendo dalla sala dove si era rappresentato Gli innamorati di Goldoni, e non riuscivo a raggiungere l'ingresso per via della folla che, procedendo in senso inverso, entrava per assistere a uno spettacolo in programma in un'altra sala: un migliaio circa di persone assiepate nel foyer come in una piazza nell'ora di punta.
Questa visione del foyer trasformato in piazza, con una massa di persone raccolte intorno al nucleo centrale della cassa, in attesa di distribuirsi via via nei vari spazi, la si coglie spesso al Franco Parenti: ed è un'immagine confortante del teatro come snodo di interessi e curiosità, cuore pulsante della vita metropolitana. La stessa condizione, seppure in una forma architettonica meno definita, si coglie all'Elfo Puccini, e in altre sale.
Il teatro sta andando straordinariamente bene a Milano, sta andando bene come mai era andato, forse neppure negli anni del glorioso passato grassiano-strehleriano. Salvo un breve periodo pre-natalizio, in cui alcune compagnie sono andate purtroppo al massacro, le platee sono sempre piene, spesso esaurite. Il pubblico risponde a ogni sorta di proposte con un entusiasmo, un'aspettativa che non hanno oggi l'uguale in Italia. E questa adesione non riguarda solo prodotti di richiamo: chi l'avrebbe detto, ad esempio, che Peperoni difficili, un testo scritto dall'attore Rosario Lisma, in stagione al Teatro Franco Parenti, avrebbe richiesto l'aggiunta di un ulteriore ciclo di repliche per far fronte alle richieste?
Questo incontenibile fermento – tutto da studiare – si verifica per giunta dopo una lunga fase in cui il panorama milanese pareva immobile, asfittico. Cosa è dunque accaduto per imprimere una tale slancio? L'evento determinante è stato ovviamente l'avvento delle due multi-sale, l'Elfo Puccini, appunto, coi suoi tre ambienti di diversa capienza, e il Franco Parenti, che di sale ne ha addirittura cinque. Questa molteplicità di sbocchi fisici, che a sua volta comporta una simultaneità di rappresentazioni, attira, incuriosisce, invoglia lo spettatore a tornare per provare altre esperienze. L'aumento degli spazi ha comportato una crescita esponenziale dell'offerta: le «prime» si accavallano, ci sono settimane in cui non si riesce letteralmente a seguire tutto. Il fenomeno non è solo quantitativo: moltiplicandosi i titoli, si articola ulteriormente anche la qualità dei cartelloni, le realtà più collaudate sostengono e trascinano quelle più fragili, accanto alla produzione più sicura trova posto il nuovo gruppo meno conosciuto. Sulle scene milanesi arrivano ora esperienze che mai vi avrebbero trovato accoglienza in precedenza. E questo ampliarsi di prospettive il pubblico dimostra di gradirlo.
Ma la multisala in sé non basta a spiegare un simile riscontro. Le direzioni artistiche dei due teatri sono state anche abili nel trovare le formule adatte ai propri frequentatori. L'Elfo Puccini, affacciato su un'arteria commerciale come corso Buenos Aires, ha un pubblico meno specialistico, in un certo senso più popolare, che sembra chiedere grandi storie, un coinvolgimento quasi cinematografico: e infatti spettacoli di forte presa come History boys, Frost/Nixon, Morte di un commesso viaggiatore hanno avuto esiti trionfali. Il Franco Parenti, che si rivolge tradizionalmente a una borghesia colta, punta più su certi percorsi di ricerca e di innovazione formale, da Lucia Calamaro al duo Carullo-Minasi.
Va anche aggiunto che entrambi gli organismi sono dotati di sedi comode e accoglienti. Che entrambi dispongono di bistrot dove è possibile cenare, il che innesca ulteriori fattori di richiamo. Nell'insieme, sia l'uno che l'altro paiono decretare il superamento di una certa idea del teatro tipica del secondo Novecento, sacrificale, un po' punitiva, indicando la via a quello che si potrebbe chiamare un consumo di qualità, che non contrasta con la temperie del progetto artistico. E infatti entrambi registrano un alto numero di biglietti venduti, attestando una significativa inversione di tendenza nel rapporto tra contributi pubblici e ricavi dagli incassi.
Poiché in ambito teatrale se qualcuno va bene vanno bene tutti gli altri, questi nuovi equilibri hanno giovato all'intero sistema, che si è meglio definito nei propri compiti e ruoli. Ne hanno tratto una robusta iniezione di vitalità molte strutture, dallo stesso Piccolo Teatro, che di recente ha impresso un maggiore dinamismo alla propria programmazione, superando certi ritardi storici, a presenze meno istituzionali, dal Teatro i al Ringhiera al Teatro della Cooperativa. Sono nati nuovi spazi, come Zona K, e centri con vocazioni più formative e laboratoriali come il Teatro La Cucina, il Pim Off, Campo Teatrale. Poi, certo, c'è anche chi non regge il passo, e non riuscendo ad adeguarsi rischia il tracollo.
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