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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2014 alle ore 08:14.

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«Chi sono, dove sono, dove vado?». Ruota attorno a queste tre domande, e alle questioni esistenziali che le sottendono, la scelta dei venti lavori di Bill Viola esposti alla retrospettiva del Grand Palais di Parigi fino al 21 luglio (www.grandpalais.fr).
Il più importante video artista vivente, nato a Queens, New York nel 1951, la cui statura è ampiamente riconosciuta a livello istituzionale fin dalla mostra del Whitney Museum nel '97, ha studiato il percorso espositivo insieme ai curatori, Jérôme Neutres e Kira Perov; quest'ultima, sua compagna anche di vita, oltre che direttore del loro studio.
L'idea è quella di un viaggio introspettivo che traspone dal piano esistenziale a quello metafisico alcuni interrogativi in cui tutti si possono riconoscere: vita, morte, al di là, tempo e spazio. Su questa profonda condivisione, attraverso l'immediatezza e la suggestione dei media audio e video, dalla resa perfetta grazie sofisticate tecniche digitali, si fonda il successo e l'efficacia comunicativa di questa mostra e di tutta l'opera di Viola dal 1977 a oggi.
Le sale buie e silenziose, accese a intermittenza dalle proiezioni e dagli effetti sonori, talvolta anche autonomi rispetto alle immagini e intesi come opera-audio in sé, sono letteralmente affollate da un pubblico speciale. Tanto da far parte esso stesso della mostra: come una performance perfettamente riuscita per interazione tra opere e fruitori, artista e destinatario, arte e pensiero. Oltre ai video magistrali di Viola potreste vedere la reazione di una coppia di anziani, lei con gli occhiali spessi, lui con il bastone, di fronte allo scrosciare impetuoso dell'acqua dall'interno di una casa, in The Deluge di Going Forth By Day del 2002; quella di due fratellini seduti accanto al papà, con gli occhi sgranati e immobili davanti a una grande parete attraversata dalle immagini di una foresta incantata, di un enorme rogo, di un forte getto d'acqua; quella di turisti solitamente distratti obbligati a procedere lentamente, intrappolati dai veli che stratificano l'immagine proiettata invadendo lo spazio centrale della stanza suggerendo visuali plurime, e dunque soggettive, in The Veiling del 1995.
Viola è profondamente convinto che l'arte abbia un ruolo importante per la società contemporanea: «L'artista è colui che può creare un ponte tra passato, presente e futuro».
L'americano attinge a piene mani anche all'arte antica. È folgorato dalla bellezza di Michelangelo, Pontormo, Raffaello, Rubens, gli artisti che ama maggiormente e che ha visto nei musei e nelle chiese in Italia, quando ha abitato a Firenze nel '74 quando lavora come direttore tecnico di produzione all'Art/Tapes/22 di Maria Gloria Bicocchi. Così, molti suoi video s'ispirano direttamente ai grandi maestri: Goya per The Sleep of Reason del 1988, La visitazione di Pontormo per The Greeting del 1995, Hieronymus Bosh per The Quintet of the Astonished del, 2000, le Pietà di Michelangelo per Emergence del 2002.
Ma sul proprio ruolo di artista spiega meglio: «Ho delle visioni, vedo in profondità e tento, con la mia arte, di dare forma a queste visioni». Quale è il senso profondo dei suoi video, dunque? «Li intendo come mezzo, e la tecnologia come uno strumento. Il fine è un altro: guardarsi dentro, interrogare noi stessi. Giungere all'anima, "the soul"».
Quel medium – il video – che è solitamente apprezzano solo pochi iniziati all'arte contemporanea, affascina, ammalia, cattura tutti. Pur non avendo nulla a che vedere con un passatempo, con un videoclip, con ciò che si vede in tv: «Non intendo il video come entertainment», puntualizza Viola, «per me è un modo per dire a tutti: stop! Fermati e pensa». Così, tra i venti lavori esposti al Grand Palais, si arriva anche ai 23 minuti di durata, con Four Hands del 2001, quattro piccoli schermi in cui si vedono sole mani in sequenza di gesti e pose, senza narrazione. Oppure Man Searching for Immortality e Woman Searching for Eternity del 2013, un dittico che si guarda simultaneamente, dove un uomo da una parte e una donna dall'altra, nudi in uno spazio neutro, privo di appigli al quotidiano, indagano il proprio corpo vecchio con una torcia, meticolosamente. Diciotto minuti e 54 secondi con cui Viola allude efficacemente alla ricerca di sé. «Le mie opere sono metafore», ammette.
Alcuni elementi assumono un significato particolare, o più di uno. L'acqua, ricorrente nei suoi lavori, «rappresenta la forza vitale della natura, la sua terribilità, la potenza, ma anche la sua enorme bellezza». Viola non rinuncia alla bellezza, anzi vi si aggrappa forte, in ogni studiatissima immagine. E così ce la trasmette.
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