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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2014 alle ore 08:12.

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Ogni anno, di questi tempi, possiamo leggere cronache soddisfatte per il gran numero di turisti che finalmente riempiono le principali città del Mezzogiorno. Ogni anno, di questi tempi, ci si sfrega le mani per il pienone di Pasqua e l'abbondanza dei flussi registrati in prossimità del primo maggio e ci si congratula per il buon lavoro. Ogni anno, di questi tempi, va in scena la Grande Illusione.
La percezione di alberghi musei e ristoranti al Sud inondati da residenti occasionali è infatti puntualmente smentita dai numeri. E i numeri dicono che su 380 milioni di presenze turistiche in Italia solo il 20% (76 milioni) sceglie le località meridionali. Il dato peggiora se si considerano gli stranieri: uno striminzito 13% che in valore assoluto vuol dire 20 milioni sui 160 che raggiungono il nostro Paese.
In termini di fatturato il Mezzogiorno cattura non più di 4 miliardi sui 32 spesi in Italia dai turisti internazionali contro i 5,3 del Lazio e della Lombardia e i 5 del Veneto. La parte del leone spetta alla Campania con 1,419 miliardi seguita dalla Sicilia (poco più di 1 miliardo), dalla Puglia (580 milioni) e dalla Calabria (145 milioni). La piccola Basilicata, che pure vanta perle come Matera e Maratea, quasi non entra nelle statistiche.
Insomma, esistono regioni (Lazio, Lombardia, Veneto) che da sole attirano più turisti e soldi del Mezzogiorno nel suo insieme nonostante le bellezze naturali, artistiche, storiche e architettoniche che tutti gli riconoscono possedere. Perfino il turismo balneare rappresenta appena il 24,7% del totale: un vero spreco se si considera che il Sud può contare sui tre quarti delle coste del Paese. Il Nord Ovest pesa per il 43,6%.
Napoli, con una popolazione quattro volte superiore, accoglie meno turisti che la piccola Firenze (9 milioni contro 10) ed è surclassata da Venezia (33,5 milioni), distanziata da Roma (25,8 milioni), superata da Milano (11,2) che si prepara all'Expo con l'intenzione di migliorare stabilmente un dato che oggi dipende quasi del tutto dall'offerta fieristica e business in generale.
Uno sguardo agli altri capoluoghi meridionali completa il quadro del malessere: Palermo conteggia poco più di 2,8 milioni di presenze e Catania meno di 1,7; Bari supera di un soffio la soglia del milione e mezzo; Matera si attesta su 1,3 doppiando Potenza; Cosenza - di gran lunga la città più ricettiva della Calabria - supera i 3 milioni destando addirittura sorpresa. Il resto sono briciole.
Finora abbiamo parlato di presenze: numero di persone per giorni medi di permanenza. Per gli arrivi, invece, i signoli turisti, i 9 milioni di Roma, i 7,2 di Venezia, i 5,5 di Milano, i 3,7 di Firenze, i 2,6 di Napoli, i 990mila di Palermo, i 690mila di Bari, i 580mila di Cosenza, i 470mila dell'intera Basilicata devono vedersela con gli abbondanti 7 milioni di Barcellona, gli 11 milioni di Berlino, i 16 milioni di Londra, i 23 milioni di Parigi e i quasi 54 milioni di New York, prima meta turistica mondiale.
Ecco, dunque, che i numeri s'incaricano di fornire la giusta dimensione di un fenomeno da sempre richiamato come potenzialmente salvifico per il Mezzogiorno e mai affrontato con piglio scientifico. Un dato su tutti per definire quanta strada occorra ancora fare per colmare un divario evidente: al confronto con la Spagna la dotazione di tratte aeree internazionali è inferiore al Sud di quasi dieci volte.
Anche i collegamenti su rotaia e su gomma fanno la loro parte. Tanto che il Mezzogiorno non costituisce mercato nemmeno per se stesso. Le distanze tra le destinazioni meridionali, oggi valutate in tempi di percorrenza piuttosto che in chilometri, sono improponibili in un mondo sempre meglio collegato e abituato a standard di comodità ed efficienza che nel Mezzogiorno lasciano molto a desiderare.
Per ultimo - lasciando da parte il nodo pure non trascurabile del peso fiscale e normativo che riguarda l'intero Paese - al Sud occorre manovrare con più energia la leva della formazione. Sono ancora troppo pochi, infatti, gli addetti al settore con una laurea a fronte di risultati tre o addirittura quattro volte superiori dei più stretti concorrenti europei come, per esempio, la solita Spagna e la Francia.
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