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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2014 alle ore 08:14.

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Marco Carminati
Guy Cogeval è diventato il presidente dei musei d'Orsay e dell'Orangerie di Parigi e direttore delle sue collezioni nel 2008, e in questi sei anni ha impresso alla celebre istituzione, culla dell'Impressionismo, una sorta di rivoluzione copernicana.
Una rivoluzione operata su due fronti. Innanzitutto il fronte interno. Appena assunta la responsabilità della direzione, Cogeval ha messo in cantiere il rifacimento da cima a fondo della Gare d'Orsay, smobilitando di fatto il primo allestimento realizzato da Gae Aulenti. Persa la facies algida e un po' ospedaliera che le aveva impresso l'Aulenti, il Musee d'Orsay si presenta oggi con pavimenti in legno, pareti colorate, luci calde e soffuse che avvolgono e valorizzano i celebri capolavori dei maestri impressionisti e postimpressionisti. Oltre al rifacimento, Cogeval ha reso il museo oltremodo attrattivo organizzando mostre di grande interesse, come quella ora in essere su Gustav Doré, e non temendo di sfiorare i confini della provocazione, come con la mostra della precedente stagione, dedicata al nudo maschile. Facendo tutto ciò, il presidente-direttore ha assolto il suo compito. In realtà, questo è solo uno dei fronti su cui opera, perché da quanto Cogeval è alla guida, il Musée della Gare d'Orsay è diventato un vero e proprio "opificio di mostre" che vengono qui ideate e prodotte per essere spedite in tutto il mondo come potenti ambasciatrici delle collezioni permanenti. Anche l'Italia beneficia di questa "politica estera" del museo parigino. Il nostro Paese ha ospitato di recente ben quattro rassegne partite dalla Gare d'Orsay: quella di Manet a Venezia, le due di Torino e quella ospitata in questi mesi al Complesso del Vittoriano di Roma (a cura di Guy Cogeval e Xavier Rey, fino all'8 giugno, Catalogo Skira) che racconta le collezioni del museo parigino attraverso sessanta capolavori di Corot, Monet, Pissarro, Cézanne, Seurat, Manet, Degas, Renoir, Van Gogh e Gauguin.
Intervistare Guy Cogeval è facile: il direttore è quasi sempre in Italia.
«Sì, io amo molto questo Paese – conferma Cogeval – anche perché sono mezzo italiano: mia madre era piemontese e io ho imparato da lei la lingua di Dante, seppure con qualche inflessione piemontese».
Ma poi, c'è stato, un periodo di studio in Italia, vero?
«Certamente. Dopo aver studiato a Parigi arte romana e paleocristiana e il Manierismo italiano – come vede nulla a che fare con gli Impressionisti – sono venuto al principio degli anni Ottanta a fare ricerche a Villa Medici di Roma. Qui, ho studiato le scenografie italiane da Verdi a Puccini e ho avuto molti amici che erano musicisti, pittori, scultori. Ho incontrato Achille Bonito Oliva, Claudio Abbado e Carlo Maria Giulini. È stata per me un'esperienza così eccezionale da desiderare di restare in Italia a lavorare nella diplomazia culturale. Ma Michel Laclotte mi ha richiamato a Parigi per collaborare alla nascita del Musée d'Orsay».
È iniziata così la sua avventura nel nuovo museo.
«In realtà, ho lavorato al varo del museo, aperto nel 1987, ma poiché la squadra era già al completo me ne sono allontanato, accettando altri incarichi prima a Parigi e poi a Montreal, in Canada, dove sono diventato direttore del Museo di Belle Arti e anche cittadino canadese. Ma molti, in Francia, dal 2005 al 2006, mi hanno incoraggiato a considerare la possibilità di un rientro non solo a Parigi ma anche tra i ranghi direttivi del Musee d'Orsay»
E così è avvenuto. Dopo l'"esilio" canadese, nel gennaio 2008 Guy Cogeval è stato nominato presidente del Musée d'Orsay e direttore delle collezioni, e da quel momento è cominciata la sua doppia rivoluzione: la ristrutturazione del museo e il suo rilancio nel mondo attraverso le mostre.
«Rinnovare il museo è stato molto importante per il suo rilancio, ma sono molto importanti per la vita e, sottolineo, per l'economia del museo, anche le mostre itineranti da noi organizzate».
Il punto è interessante: qual è la "ricetta Cogeval" a proposito delle mostre itineranti che possono alimentare l'economia del museo?
«Brasile, Messico, Giappone, Corea, Singapore sono aree del mondo in eccezionale espansione economica che hanno sete di cultura. La "ricetta Cogeval" è questa: primo, avere al museo tutti funzionari giovani perché solo i giovani hanno idee molto aperte sulla necessità che il nostro museo sia presente su tutti i continenti. Secondo, l'Impressionismo e la nostra cultura sono tra le risorse più preziose della nostra nazione. Questo "tesoro" dobbiamo metterlo a frutto in vario modo, o producendo progetti di mostre che vendiamo all'estero, o facendo pagare benefici vari (restauri, protezioni, casse speciali, eccetera) a chi ci chiede opere in prestito. Dobbiamo fare così semplicemente perché anche noi riceviamo sempre meno soldi dallo Stato per il mantenimento della raccolta. Iniziative come queste servono a far quadrare il bilancio, e con tali iniziative - che ci rendono circa 5 milioni l'anno – noi riusciamo a coprire il 60 % del fabbisogno del museo».
Ma la "ricetta" è apprezzata in Francia?
«La "ricetta" è vista anche da noi con sospetto. C'è sempre chi si lamenta che faccio pagare ad altri ciò che lo Stato Francese non ci paga più. È un paradosso, ma pazienza».
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