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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2014 alle ore 08:13.

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Chi possiede uno smartphone ha la possibilità di sapere sempre dove si trova, è una conquista tutto sommato recente a cui è difficile rinunciare. Esistono delle applicazioni che ci consentono di ricordare dove abbiamo parcheggiato la macchina in un quartiere di cui abbiano poca dimestichezza, di trovare un ristorantino nascosto in un dedalo di viuzze, ma anche di localizzare lo smartphone che ci hanno rubato. La nostra è l'era del GPS e un istituto di ricerca americano sostiene che se si seguono i movimenti di una persona per tre mesi – sono dati che si possono raccogliere in molti modi – è possibile stabilire dove si troverà in un qualsiasi giorno del futuro con una probabilità del 93%. La geolocalizzazione, dice Jeff Jonas che è stato uno dei ricercatori di punta dell'Ibm, «è destinata a cambiare la nostra nozione di privacy, così una società fondata sulla sorveglianza non è solo inevitabile e irreversibile, ma ancora peggio perché è irresistibile». Negli Stati Uniti le statistiche dicono che ci sono almeno 228 milioni di utenze telefoniche mobili, di cui più del 90% hanno un sensore GPS. In certi casi questa tecnologia è molto utile e salva molte vite: oggi se una persona che ha avuto un incidente stradale o un malore chiama il 911 – che corrisponde al nostro 113 – la centrale operativa è in grado di sapere con una precisione di pochi metri da dove arriva la chiamata. Non è stato sempre così, anzi possiamo dire che questa tecnologia si è diffusa a valanga in buona parte del mondo a partire dal 2008, quando il costo dei sensori arriva a prezzi così bassi che finiscono non solo nei telefoni e nei navigatori, ma anche nei laptop e nelle macchine fotografiche.
Un libro recentissimo di Hiawatha Bray, You are here, ricostruisce gli sforzi fatti per arrivare a questo risultato. La messa in orbita di una costellazione di satelliti, che consentono di sapere con così tanta precisione dove ci troviamo, è un progetto degli anni Settanta che gli Stati Uniti finanziano con più di 20 miliardi di dollari, anche se questa cifra non comprende le spese di lancio: oggi si stima che il sistema abbia ricadute economiche per circa 90 miliardi di dollari l'anno. Ovviamente questa tecnologia è nata per un fortissimo interesse militare, al punto che per un lungo periodo i satelliti GPS hanno trasmesso su una frequenza "pulita" per le forze armate e un segnale meno accurato per gli usi civili. Il resto lo hanno fatto i colossi informatici come Google che ha acquisito i diritti del satellite GeoEye che ha una risoluzione nell'ottico di circa 50 centimetri. L'azienda di Mountain View ha lanciato il suo Google Earth, un software che consente di zoomare su qualsiasi zona del globo terrestre e di catturare schermate a forte risoluzione, ed esiste una versione professionale che dispone di una serie di strumenti cartografici. Street View, una ricognizione fotografica delle vie delle principali città ha sollevato un mare di polemiche e generato molte cause legali.
Il libro di Hiawatha Bray non si limita agli exploit tecnologici più recenti, che riguardano la geolocalizzazione, perché ricostruisce l'avvento delle tecniche di navigazione sin dagli albori. La conclusione di questo lungo viaggio è abbastanza sobria considerando che la privacy è diventato negli ultimi decenni un argomento incandescente non solo a livello culturale: Bray sostiene che abbiamo viaggiato alla cieca, o quasi, per buona parte della nostra storia, ma che ormai siamo entrati nell'era in cui nessuno può più nascondersi.
Hiawatha Bray, You Are Here: from the compass to GPS, the history and future of how we find ourselves, Basic Books, pagg. 258, € 18,70

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