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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2014 alle ore 15:33.
L'ultima modifica è del 05 maggio 2014 alle ore 15:59.

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È sul fronte dei servizi che la Cina sta facendo i progressi più significativi, piuttosto che sulla capacità di incrementare la domanda interna dipendente da troppi fattori concomitanti.

In Cina è in atto un cambiamento di pelle poco evidente, se si vuole, all'esterno, ma concreto: nei primi tre mesi il contributo dei servizi al Pil cinese è balzato al 49%, mentre nello stesso periodo l'incremento dell'import-export di servizi è stato del 15,6% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Lo ha rivelato lunedì 5 maggio Yao Jian, portavoce del ministero del Commercio, nella conferenza stampa dedicata alla situazione del trade in service in Cina. Pechino ne è conscia: una maggiore attenzione al settore terziario, specie se avanzato, all'outsourcing, al settore assicurativo, bancario, all'e-commerce e alla gestione della catena di distribuzione cambierà la struttura produttiva del Paese rendendola più eco-sostenibile.

Il commercio di merci e servizi tradizionale, quello che si riferisce a settori come quello dei viaggi, del trasporto, delle costruzioni è cresciuto del 59,45, a differenza di quello delle merci tout court che ha registrato un sonoro meno 3,3. Non solo. I settori a maggior valore aggiunto come l'informatica, la produzione di film video in grande crescita in Cina, il business delle royalties altrettanto rampante, l'assistenza computer, i servizi di consulenza sono aumentati in un range dal 40 al 21,3 per cento.

Per di più i partner dei servizi in outsourcing e dei prodotti culturali sono diversi rispetto al commercio "normale": Giappone, Gran Bretagna, Europa, Stati Uniti. Paesi con i quali la Cina per latri settori preferisce trovare altri referenti.

A gennaio, in occasione dell'appuntamento annuale più importante, perfino il direttore dell'Istituto nazionale di statistica cinese Ma Jiangtang ha dovuto ammettere che il peso dei servizi nel Pil cinese ha superato quello del settore primario. Una novità sottolineata anche da altri guru cinesi dell'economia. Fan Gang, studioso della Cass, l'Accademia di scienze sociali cinesi, ha parlato di rivoluzione vera e peropria.

Il Governo di Pechino punta a trasformare l'economia, con il passaggio dall'attuale struttura economica basata su elevati consumi energetici ad alto impatto ambientale a bassa efficienza, ad un modello di crescita maggiormente sostenibile, più attento all'ambiente e caratterizzato da maggiore qualità.

Ma, per farlo, la Cina ha bisogno di nuovi protagonisti e di nuove professionalità. L'obiettivo è quello di incrementare il peso del settore dei servizi. Proprio per questo si tratta di una svolta storica: nel 2013, per la prima volta il settore terziario ha acquisito un peso maggiore rispetto all'industria: 46,09% contro 43,89%. L'obiettivo di arrivare al 47% entro il 2015 era considerato fattibile. Ieri, invece, il ministero del Commercio ha parlato addirittura del 49 per cento. La svolta, insomma, è addirittura rafforzata.

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