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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2014 alle ore 13:21.

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Una stagione colma di episodi di violenza quella che sta per volgere al termine. A Roma, soltanto l'ultimo sussulto di un fenomeno che pare ben lontano dal trovare soluzione. Pronti e via e comincia la vergogna. Nei primi giorni di agosto, va in scena a Varese un'amichevole tra la formazione di casa e il Catania. Doveva essere una festa per il ritorno in città di Rolando Maran, il tecnico che aveva accompagnato il club lombardo a uno sbuffo dalla Serie A, invece è subito battaglia. Una trentina di teppisti prende d'assalto nel piazzale dello stadio Ossola un pulmino bianco sui cui viaggiavano alcuni sostenitori del Catania. Intervengono le forze dell'ordine e comincia la lotta. Bilancio: cinque tifosi rossoazzurri contusi e 15 Daspo per i responsabili dell'aggressione. La follia travestita da passione si ripresenta alcuni giorni dopo, in occasione della prima gara della Serie A. Al fischio finale di Verona-Milan è scontro aperto tra le due tifoserie nel settore ospiti rossonero. Lancio di oggetti e seggiolini, colpi inferti a mani nude e con l'ausilio delle aste della bandiere. Alla vigilia, si temeva che il pubblico gialloblù scivolasse nei cori razzisti all'indirizzo di Mario Balotelli. Niente insulti, si lavora di mani.

Da Verona a Roma: altro giro, altro fango. Il 22 settembre è in programma il derby della capitale. L'allerta è altissima perché nella stracittadina dell'aprile 2013 gli scontri tra le due tifoserie avevano lasciato sul terreno una decina di persone, ferite in modo più o meno grave. Il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, prepara la task force e confida nel buon senso dei sostenitori: "Le squadre aspirano ad andare in Europa e devono comportarsi adeguatamente". A fine giornata, saranno sette i tifosi della Lazio fermati in seguito al lancio di oggetti nei confronti degli agenti della polizia. Nella sfida del febbraio successivo, niente scontri da bollino rosso fuori dello stadio, ma bombe carta che scoppiano un po' ovunque dalle parti dell'Olimpico. Tanto rumore, ma danni contenuti. Almeno questa volta.

I derby fanno male a chi li fa. A Torino, l'imbarazzo prende la forma di un paio di striscioni che vengono mostrati da alcuni sostenitori bianconeri durante il confronto del 23 febbraio. "Solo uno schianto", recita il primo. "Quando volo penso al Toro", vomita l'altro. Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, li battezza a stretto giro di posta "striscioni canaglia". Mariella Scirea, la vedova del meraviglioso Gaetano, minaccia di "chiedere di cambiare nome alla curva che porta il nome di mio marito". Inorridisce la città, non si sorprende il Paese. Che a novembre aveva fatto fatica a tenere gli occhi aperti davanti alle immagini trasmesse da Salerno, fuori e dentro lo stadio Arechi, prima durante e dopo il derby che da quelle parti aspettavano da 28 anni. "Se giocate vi ammazziamo", la minaccia degli ultras della Nocerina, costretti da un'ordinanza a rimanere fuori dell'impianto per evitare tafferugli a gara in corso. La partita dura appena 20 minuti. L'arbitro è costretto a interromperla perché i giocatori ospiti, impauriti, decidono di darsela a gambe. Il calcio perde, la curva vince.

Dalla tragedia del Partenio di Avellino (20 settembre 2003: un morto e otto condanne per 61 anni complessivi di carcere, la partita con il Napoli non fu mai giocata) a quella di Catania (8 febbraio 2007: omicidio dell'ispettore Raciti durante gli scontri tra le tifoserie della squadra di casa e del Palermo), i derby infiammano il cuore e annebbiano la mente di chi predica (e pratica) la violenza. Succede anche ai supporter che parteggiano per la stessa squadra. A Genova, due gruppi di tifosi del Doria si sono affrontati a muso duro tra cinghiate e bastonate a margine della gara con il Milan. La ragione del contendere? La decisione di piazzare la stracittadina con il Genoa nell'anticipo di mezzogiorno e mezzo. Come dire, di tutto un po'. L'importante è che dalle parole si passi ai fatti.

Come è noto, l'odio supera i confini nazionali. Feriti e arresti a Marsiglia per gli scontri tra i tifosi del club francese e quelli del Napoli all'esterno del Velodrome. In Polonia, 22 tifosi della Lazio finiscono in manette per i tafferugli scoppiati prima della gara di Europa League. A Roma, nella partita di andata, non era andata molto meglio: 13 fermi e 2 Daspo. Così, per gradire. Guai grandi come una casa anche nella Milano rossonera alla viglia della partita di Champions con l'Ajax. Tre accoltellati olandesi, un ambulante senegalese ricoverato per una profonda ferita al gluteo e il solito lungo elenco di denunce per risse, lesioni e chi più ne ha più ne metta. Non ci facciamo mancare niente.

Si dirà, è tutta colpa del modo di intendere il calcio made in Italy. Perché all'estero sì che hanno capito come fare. Quattro episodi che dimostrano il contrario. Con un blitz all'alba in diversi quartieri di Istanbul, la polizia turca ha arrestato lo scorso settembre un centinaio di tifosi (si fa per dire) coinvolti negli scontri con la polizia che hanno portato alla sospensione del derby tra Besiktas e Galatasaray. Russia, poche settimane dopo: incidenti scoppiano a Yaroslavl durante la partita di coppa di lega tra la squadra di casa e lo Spartak di Mosca. I sostenitori ospiti espongono in tribuna una bandiera con la svastica, dura la risposta degli agenti presenti allo stadio. Poi, il Brasile. A sei mesi dal calcio d'inizio dei mondiali, finisce in tragedia la partita tra Atletico Paranaense e Vasco da Gama, incontro valido per l'ultima giornata del campionato brasiliano. Corpi esanimi sugli spalti, centinaia di tifosi schiacciati contro le transenne e spari, tanti spari. il bilancio è da guerra civile: alla fine saranno decine i feriti. L'inferno non risparmia la Svezia. Storia del marzo scorso: un tifoso del Djurgarden muore dopo gli scontri che precedono la partita tra l'Helsingborg e il club di Stoccolma. Appresa la notizia, i supporter ospiti invadono il campo urlando "assassini, assassini". Altri cinque tifosi feriti vengono ricoverati in ospedale e la polizia ferma 30 persone. Era la Svezia, pareva l'Iraq.

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