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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2014 alle ore 11:30.
L'ultima modifica è del 07 maggio 2014 alle ore 14:55.

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«Energia nuova per le Pmi: -10% costo dell'energia per le imprese dal 1° maggio». Con questa slide il premier Matteo Renzi, nella conferenza stampa sulla «svolta buona», al termine del consiglio dei ministri del 12 marzo, annunciava il taglio della bolletta per le piccole imprese nell'ordine di quasi 1,5 miliardi di euro. La situazione ad oggi, in realtà, appare già diversa. L'intervento normativo, che comunque dovrebbe produrre effetti in bolletta solo dal 2015 o al massimo nell'ultimo bimestre 2014, è destinato a slittare a fine maggio o più probabilmente all'inizio di giugno quando le misure sulle tariffe elettriche potrebbero essere accorpate ad altre che riguardano il credito alle Pmi e diventare dunque parte di un più ampio decreto sulla competitività.

Verso un rinvio a dopo le elezioni
Ad ogni modo l'orizzonte sembra essersi spostato oltre le elezioni europee del 25 maggio, data che il premier vorrebbe scavallare sia per mettersi al riparo dalle critiche di chi giudicherebbe il piano come una mera mossa pre-elettorale sia per evitare pericolosi contraccolpi che una revisione degli incentivi alle rinnovabili potrebbe produrre nell'ala più "verde" del Pd. Del resto proprio lo spalmaincentivi, che allungherebbe negli anni gli incentivi attualmente riconosciuti ai produttori di energia da fotovoltaico e dalle altre fonti rinnovabili, sarebbe un punto ancora da approfondire considerate le proteste che in queste settimane hanno investito il ministero dello Sviluppo economico, provenienti dagli operatori specializzati ma anche da fondi di investimento, private equity, banche che negli ultimi anni hanno investito nel settore sperando in un quadro normativo chiaro e stabile.

Il fronte del no: «Investimenti a rischio»
Il piano del governo punta a ridurre di circa il 10% la bolletta annua che grava sulle Pmi. Un intervento da 1,4-1,5 miliardi che per circa la metà si reggerebbe sulla riduzione degli oneri che oggi vengono sostenuti per alimentare gli incentivi alle rinnovabili. In realtà una parte delle norme sono già scritte, e sono contenute nel decreto Destinazione Italia approvato dal precedente governo, che già prevede un regime alternativo (ma opzionale) per i produttori di rinnovabile non fotovoltaico. Il nuovo decreto legge modificherebbe in parte queste misure e, in aggiunta, interverrebbe anche sul fotovoltaico allungando di una decina di anni il periodo di pagamento degli incentivi limandone l'entità (da verificare se il tutto sarà accompagnato da un emissione di bond). Ma, tecnicalità a parte, è un punto delicatissimo. Molti produttori hanno finanziato l'investimento con mutui calcolati sulla precedente durata dell'incentivo e la rinegoziazione dei loro rapporti bancari si rivelerebbe estremamente complicata. Non solo. Nel corso degli anni il settore delle rinnovabili ha richiamato investimenti, anche stranieri, di fondi di private equity e altri strumenti che coinvolgono fondi pensioni, fondazioni, banche, assicurazioni. Diverse le società specializzate che sono state rilevate dal private equity, attratto da rendimenti interessanti a fronte di un quadro normativo che (all'epoca) appariva ben saldo. E adesso? Questo cospicuo e agguerrito fronte di investitori starebbe già alzando le barricate contro un nuovo cambio delle regole a partita in corso.

Gli altri interventi per tagliare la bolletta
Come detto, le rinnovabili rappresenterebbero circa metà dell'intero piano. Al ministero dello Sviluppo economico, come anticipato dal Sole 24 Ore del 18 aprile, si lavora però a una spending review a più ampio raggio. Il menu prevederebbe l'eliminazione o la riduzione di sussidi, esenzioni, remunerazioni che interessano una platea molto eterogenea di soggetti: l'industria energivora che beneficia del regime dell'interrompibilità, le Ferrovie dello Stato, soggetti industriali proprietari di reti private, operatori di rete che vengono remunerati per gli oneri di dispacciamento, perfino Vaticano e San Marino che godono di storiche, seppure contenute, agevolazioni.

Si apre anche il capitolo credito
Lo slittamento del taglia-bollette potrebbe favorire l'inserimento nel decreto anche delle misure per il credito alle Pmi alle quali, in queste settimane, sta lavorando una task force congiunta degli esperti del ministero dell'Economia e dello Sviluppo economico. La logica, anche in linea con indicazioni che sempre più di frequente giungono dalla Banca d'Italia e dalla Consob, è favorire soprattutto lo sviluppo di strumenti che forniscano liquidità alle imprese in alternativa al tradizionale canale bancario, seguendo una strada tracciata durante il governo Monti con il lancio dei minibond. In cantiere ci sarebbe un mix di misure che potrebbe includere una riedizione della "Tremonti ter" per detassare il reinvestimento degli utili, il potenziamento dell'Ace (aiuto alla crescita economica), un Fondo ad hoc per rilanciare il venture capital, un'estensione della disciplina del crowdfunding (portali per la raccolta di capitali) che attualmente è circoscritta alle startup innovative, semplificazioni per favorire la quotazione in borsa.

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