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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2014 alle ore 14:18.
L'ultima modifica è del 09 maggio 2014 alle ore 19:29.

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L'Italia, si sa, è il paese dei paradossi. E la materia pensionistica non fa eccezione. Come sottolineato più volte sulle pagine, cartacee e web, del Sole 24 Ore, è paradossale riscontrare come i criteri di trasparenza dei fondi pensione di secondo pilastro – ad adesione volontaria e destinati a costruire una porzione limitata delle rendite pensionistiche future – siano molto più stringenti rispetto ai criteri di gestione degli enti previdenziali di primo pilastro, ad adesione obbligatoria e destinate a garantire la quasi totalità delle rendite pensionistiche dei loro iscritti. Basti pensare all'incuria attuariale e non di molti istituti, dal Fondo Volo all'Inpdap, non a caso tutti poi confluiti nell'Inps; e ancor più sulle Casse dei professionisti.

I recenti sviluppi delle indagini sui rapporti tra alcune società di gestione e alcune Casse, in attesa dell'esito dei processi, non stupiscono certo: a differenza di un fondo pensione complementare, l'ente previdenziale non è obbligato a indire un bando di gara pubblico per assegnare un mandato di gestione a una società di gestione del risparmio; non è obbligata a custodire i propri asset presso una banca depositaria, che opera solo in base al mandato definito nel bando e ai criteri della normativa (oggi inesistente), non è obbligato ad assegnare mandati di consulenza in base a criteri tracciabili e pubblici; non è obbligato ad affidare incarichi decisionali a personaggi che garantiscano competenza, professionalità e assenza di conflitti di interesse. Tutto è demandato all'autoregolazione degli istituti, in nome dell'autonomia delle singole casse, che in taluni limitati casi – bisogna sottolinearlo – hanno implementato negli anni questi istituti di trasparenza, su pressing dei loro iscritti (e della stampa, ma lo diciamo tra parentesi). I ministeri deputati alla vigilanza non hanno mostrato un'operatività degna di questo nome.

In questo contesto le Casse hanno preso decisioni in modo più o meno discrezionale. Circostanza che ha aperto la strada a soft commission, o a vere e proprie forme di corruzione. Si sa, si dice, si maligna, in attesa che gli esposti in Procura si traducano in contromisure. E così in passato enti previdenziali sono stati guidati per esempio da consigliere "esperto" che affidava mandati i gestione alla banca che "sponsorizzava" la sua cattedra e che accoglieva i suoi studenti come stagisti; in altri casi la gestione veniva affidata a società semi sconosciute, mentre i big nazionali e internazionali restavano fuori in anticamera con le loro proposte. Viaggi "di formazione" hanno coinvolto in località esotiche gestori, advisor e vertici delle casse, presso le quali si trova il tempo di chiudere accordi più forti di quelli tracciabili via mail o per telefono. Il denaro dei futuri pensionati ha ruotato per anni (e in molti casi ruota tuttora) nelle mani di soggetti dalla dubbia competenza che fanno transitare il denaro in paradisi fiscali di paesi black list; la tracciabilità dei trasferimenti antiriciclaggio non sempre è stata riscontrata.

E' diffuso il sospetto– messa nero su bianco in alcuni esposti al vaglio della Procura di Roma – che alcuni enti previdenziali e alcuni gestori offrano la loro operatività al riciclaggio di denaro di dubbia provenienza. Appena defenestrato il direttore generale di una cassa dal suo incarico, il database finanziario dell'ente è stato cancellato, insieme a tutti i contratti stipulato con consulenti e gestori. Inchieste della magistratura stanno facendo luce sull'aspirante parlamentare che, in cerca di provvista per finanziare la sua campagna politica all'interno del partito, invece di presentare un'offerta per l'acquisto di un immobile, ha organizzato un'articolata operazione che ha coinvolto una mezza dozzina di soggetti; facendo lievitare il prezzo d'acquisto di decine di milioni di euro. Forse anche per questo la politica è stata spesso "distratta" rispetto a questi temi. Il tempo e le indagini diranno, ciò che da anni si sa.

Le numerose difese d'ufficio sull'autonomia delle Casse, non accompagnate dalla messa in pratica delle opportune contromisure per rendere trasparente ogni passaggio dell'operatività di questi enti, non mancano di campeggiare sulla stampa con una visibilità abitualmente maggiore rispetto alle critiche e agli allarmi. In molti, è il caso di sottolinearlo, hanno affidato mandati di gestione con bandi pubblici, affidato il denaro a banche depositarie, nominato professionisti privi di conflitti di interesse. Il tempo dirà e chi non ha nulla da temere può stare tranquillo: chi si agita ne avrà pur un motivo.

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