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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2014 alle ore 08:12.

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ROMA
Il tribunale di Venezia ha rinviato alla Corte costituzionale la legge elettorale per le Europee limitatamente alla soglia di sbarramento del 4 per cento. Ora la Consulta dovrà decidere se cancellarla o no, seguendo la procedura che già portò il 4 dicembre a bocciare il Porcellum. La sentenza arriverà dopo le elezioni del 25 maggio, che quindi non sono a rischio). Problemi potrebbero sorgere dopo, in caso di eliminazione della soglia, anche se la Consulta, pure quando bocciò il Porcellum, ribadì la legittimità dei parlamentari eletti. Né la questione riguarda le polemiche sulle soglie di sbarramento dell'Italicum (4,5% per le liste coalizzate, 8% per quelle non coalizzate): il tribunale ipotizza la non ragionevolezza delle soglie solo nel caso del Parlamento europeo, che non deve votare la fiducia a un governo.
A presentare il ricorso è stato Felice Besostri, uno dei promotori del ricorso contro il Porcellum. Vinta quella battaglia ne ha subito iniziato un'altra contro la norma del 1979 (legge n. 18) che regola il voto per eleggere gli europarlamentari, modificata nel 2009 proprio con l'introduzione della soglia di sbarramento del 4 per cento. Per questo ha presentato ricorsi a Roma, Napoli, Milano, Trieste, Cagliari e Venezia: soglia, minoranze linguistiche, riequilibrio di genere e deroga alla raccolta di firme di presentazione delle liste, le questioni poste. Il tribunale di Venezia, al quale Besostri si è rivolto insieme al collega Francesco Versace, è il primo ad assumere una decisione nel merito, rinviando gli atti alla Consulta limitatamente alla questione delle soglie. L'ordinanza firmata dal giudice Maurizio Gionfrida sostiene che per le Europee «non appare sostenuta da alcuna motivazione razionale» una soglia d'ingresso per essere eletti, dal momento che l'Europarlamento non ha il compito di eleggere o dare la fiducia ad alcun governo dell'Unione e non è quindi un ago della bilancia della stabilità del sistema. Tuttavia alcuni costituzionalisti sottolineano come con il trattato di Lisbona il ruolo del Parlamento europeo sia diventato sempre più decisivo nel governo dell'Ue. Come Francesco Clementi (si veda anche l'articolo sotto) secondo cui la ragione della soglia di sbarramento va ricondotta anche ad altri due elementi: «Il Parlamento europeo nella sua struttura interna non ha un gruppo misto» articolazione che incentiva la frammentazione. Inoltre «la soglia del 4% o addirittura del 5% classica di molti altri Paesi europei consente di temperare principio di governabilità e principio di rappresentanza nella costruzione di un sistema di governo Ue sempre più simile a una forma di governo parlamentare».
Il tribunale ricorda sì l'atto del Consiglio del 2002 che consente agli Stati Ue di avere uno sbarramento fino al 5% (9 paesi oggi hanno una soglia del 5%, 3 del 4%, la Grecia è al 3%, Cipro 1,8 e 14 paesi non hanno soglie), ma questo non può prevalere su «fonti nazionali di rango costituzionale». Sottolineando che con la soglia «si profila il conflitto con i principi relativi alla eguaglianza e pari dignità del diritto di voto che trovano garanzia» nella Costituzione italiana. Inoltre, sono ricordate le due sentenze della Corte costituzionale tedesca che nel 2011 bocciò la soglia del 5% per le Europee e che lo scorso febbraio ha eliminato il nuovo limite adottato (3%). Con la motivazione che si trattava di soglie ingiustificate e «in contrasto con i principi di uguaglianza del voto e di pari opportunità per i partiti politici». Esultano i piccoli partiti. «Il governo valuti un provvedimento d'urgenza per mettere in sicurezza una legge», ha detto Gianluca Susta, Scelta civica. La soglia è definita «una volgarità nei confronti della rappresentanza democratica» dal leader di Sel Nichi Vendola. Gian Claudio Bressa (Pd), ha replicato: la valutazione della soglia è «tutta politica, non giuridica».
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