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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2014 alle ore 08:12.

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Dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini. L'aforisma del poeta tedesco Heinrich Heine si tramutò in una drammatica realtà la notte del 25 agosto 1992 quando l'artiglieria serba distrusse a cannonate e con bombe incediarie la Vijecnica, l'antica biblioteca di Sarajevo. Per giorni colonne di fumo nero misto a cenere coprirono il vecchio quartiere e il bazar della Bascarisja. Una giovane bibliotecaria, Aida Butorovic, affrontò le vampe dell'incendio per salvare alcuni preziosi volumi e venne uccisa dalla scheggia di una granata. Quel rogo fu il preludio all'assedio dei mille giorni, alle fiamme di un conflitto che inghiottì la vita di 12 mila cittadini di Sarajevo.
Ecco perché ieri, tolte le impalcature che la fasciavano come bende da 18 anni, la cerimonia di riapertura della biblioteca, in vista anche del 28 giugno, centenario dell'assassinio dell'arciduca d'Austria e dell'inzio della prima guerra mondiale, ha un significato profondo per ogni europeo: un ammonimento che viene dal passato, lontano e recente, ma anche un avvertimento sul presente.
Sarajevo era la più multiculturale delle città della ex Jugoslavia, dove serbi, croati e musulmani vivevano da secoli fianco a fianco, tra campanili francescani, slanciati minareti islamici e cupole ortodosse. E ancora oggi Sarajevo rimane un baluardo per la Bosnia e simbolicamente forse anche per la stessa Europa che cede, giorno dopo giorno, ai nazionalismi, al populismo, al tentativo di demonizzare quanto appare diverso da sè. Come se non fosse già bastata la terribile lezione della disgregazione dell'ex Jugoslavia con i suoi 200mila morti.
In quella calda estate di 22 anni fa, la biblioteca fu ridotta a uno scheletro e in tre giorni vennero spazzati via due milioni di volumi, 150mila libri rari e centinaia di manoscritti. Ma si salvò l'Haggadah, uno dei più antichi documenti ebraici d'Europa, un manoscritto miniato sefardita già sfuggito alla caccia dei nazisti, che venne nascosto da Dervis Korkut, funzionario di origine albanese, nella sua modesta biblioteca accanto a una moschea di campagna. Dell'edificio costruito dagli austriaci nel 1894 non restava nulla: da qui il 28 giugno 1914 era uscito il corteo dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria con la moglie Sofia che poco dopo incrociarono i colpi di pistola mortali del giovane nazionalista serbo Gavrilo Princip. Oggi nei libri di storia dei nuovi stati sorti dalle ceneri della Jugoslavia Princip viene descritto come un terrorista o come l'eroe di una grande causa e queste divisioni riflettono amaramente le fratture che ancora percorrono i Balcani.
Qui a Sarajevo, dove è cominciato e finito il "secolo breve", si tocca ancora con mano il significato delle tragedie europee e la biblioteca, riaperta con uno scintillante restauro mentre si celebra la sconfitta del nazismo, con le sue facciate rosso-ocra è un monumento alla memoria del '900 e alle sue ferite, ancora aperte.
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