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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2014 alle ore 08:12.
Unicredit ha consegnato ieri ai sindacati (Dircredito, Fabi, Fiba, Fisac, Sinfub, Ugl credito, Uilca) la lettera di avvio procedura per il negoziato sul piano strategico 2018. Anche sotto l'insegna della legge 223/91. La missiva chiarisce infatti l'intenzione di ricercare «attraverso il confronto sindacale, avvalendosi del complesso degli strumenti indicati dalle vigenti normative sia contrattuali sia di legge (L.223/91)» soluzioni che assicurino il risultato nei tempi previsti. Il risultato, come spiega il gruppo, è fatto di recupero di produttività e redditività, ma anche di processi di riorganizzazione. Ed è proprio in questo ambito che, in Italia, nell'intero arco del nuovo piano (2014-2018) ci sono ricadute per circa 7.300 posizioni. Saranno realizzate con 5.100 riduzioni di personale di cui 2.400 sono riferibili al piano 2015 (quello che era stato presentato nel 2011) e 2.700 nuove riduzioni riferibili al periodo 2016-2018. A questi si aggiungano anche 2.200 efficientamenti che però l'azienda confida di poter gestire attraverso processi di riqualificazione professionale. Il negoziato avverrà in due fasi: la prima, partita ieri, e che si concluderà tra 50 giorni in cui verrà innanzitutto favorita l'uscita di chi ha i requisiti per la pensione. Verranno ricercate forme di flessibilità nell'organizzazione del lavoro, ma soprattutto verrà congelato il secondo livello di contrattazione. A seguire ci sarà una seconda fase in cui verranno favorite le uscite incentivate. Per il sindacato il piano «è totalmente inaccettabile – come spiega Mauro Morelli, segretario nazionale della Fabi – perché penalizza i dipendenti e non mette al centro la tutela dell'occupazione». Tra l'altro Morelli ricorda anche che «dal 2007 al 2018, il saldo dei posti persi in Unicredit ammonterà a circa 35mila, tra esuberi, prepensionamenti, esternalizzazioni e blocco del turn over».
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