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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2014 alle ore 08:14.
Nella tradizionale dicotomia tra arte e scienza, la matematica sta guardinga tra l'una e l'altra. Hermann Weyl diceva che nel suo lavoro di matematico si sforzava di raggiungere bellezza e verità, che potremmo considerare gli aspetti contrastanti dell'arte e della scienza. I matematici vogliono capire il mondo fisico, scoprire i segreti della natura, cercare la verità. Lo fanno creando edifici intellettuali raffinati e bellissimi, guidati dal proprio giudizio estetico. Da questo punto di vista, la matematica collega arte e scienza in un'impresa unica e immensa: l'umano tentativo di dare un senso all'universo.
Noi matematici possiamo apprezzare questa grandiosa unificazione filosofica, ma a chi non conosce i nostri segreti, la scienza e l'arte sembrano diametralmente opposte. La prima si occupa dei duri fatti dell'esistenza mentre la seconda esiste soltanto nella mente umana; «La bellezza sta nell'occhio dell'osservatore». La scienza è oggettiva, l'arte soggettiva, entrambe abitano piani paralleli e non s'incontrano mai.
Questa distinzione ingenua non riesce a cogliere la natura della scienza che, diceva Poincaré, non è una raccolta di fatti più di quanto una casa sia una raccolta di mattoni. I fatti vanno ordinati o strutturati, devono adattarsi a una teoria, a un costrutto (spesso matematico) nella mente umana. La scelta di una teoria è umana anch'essa; preferiamo quella che ci attrae maggiormente, la più semplice o la più bella. Usiamo il rasoio di Occam che ci ingiunge di ridurre al minimo i nostri assunti. Il successo della scienza sembra indicare che la bellezza che noi umani cerchiamo nelle teorie matematiche cattura proprio certi aspetti della verità, che l'universo è costruito proprio in base a principi in armonia con la nostra mente, che nelle parole di Keats «Bellezza è verità, verità è bellezza, - questo solo / Sulla Terra sapete, ed è quanto basta».
A questo porta l'intuito dei poeti, ma pochi riescono a capire come riconciliare verità e bellezza. La matematica può essere un'opera d'arte, ma per il grande pubblico è un'opera al nero, sa di magia e di mistero, il che pone un problema costante alla comunità dei matematici: spiegare come l'arte rientri nella nostra disciplina e che cosa significhi bellezza per noi.
Nel tentare di superare questo divario, ho sempre trovato l'architettura l'arte più paragonabile alla matematica. L'analogia tra le due discipline non è difficile da descrivere e consente di parlare di idee astratte come fossero pietre e calce, nello spirito di Poincaré.
Nell'architettura troviamo una gran varietà di funzioni (dalle chiese alle stazioni ferroviarie), di materiali (dai mattoni al vetro), e bellezza a tutti i livelli (dai minimi particolari a un insieme di edifici). Una teoria matematica mostra una varietà simile, sennonché la tecnologia ora non è più fisica, ma intellettuale e il gusto per la bellezza più faticoso da acquisire.
Per fortuna l'arte e la bellezza compaiono in matematica in molti modi e alcuni di questi possono essere apprezzati dal grande pubblico. Altri lo illustreranno con esempi specifici, tratti da aree diverse, che mostrano sfaccettature diverse. Concluderei riproducendo l'unico testo poetico che io abbia mai scritto. Intitolato Sogni, è uscito in The Unravelers, un libro pubblicato dall'Institut des Hautes Études Scientifiques.
«Alla luce del giorno i matematici
controllano le proprie equazioni e prove
e vanno in cerca del rigore senza lasciare
nulla di intentato. Di notte però
sotto la luna piena, sognano, vagano
tra le stelle e si meravigliano
del miracolo dei cieli. Sono
ispirati. Senza sogni non c'è arte,
né matematica né vita».
(traduzione di Sylvie Coyaud)
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