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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2014 alle ore 08:15.

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Di solito i sogni si raccontano sottovoce, con complicità, in privato. Questo no. Questo è scolpito con gesti forti, esibito, proiettato sull'esterno e destinato a non farsi dimenticare. Soprattutto da quelli che non c'erano, quarant'anni fa, e che adesso non scollano per un attimo l'attenzione dal palcoscenico. Ottanta minuti di tensione concentrata scandiscono il debutto assoluto dell'opera che il Teatro Grande di Brescia ha commissionato per ricordare la strage di piazza della Loggia, scritta dal compositore Mauro Montalbetti, su libretto e con la regia di Marco Baliani, avvolta dalla regia video di Alina Marazzi, col soprano Alda Caiello e in buca l'Ensemble Sentieri Selvaggi e il Coro Costanzo Porta, diretti da Carlo Boccadoro. L'anteprima, per gli studenti, li vede non solo coinvolti e partecipi (come non succede mai per una composizione contemporanea) ma soprattutto tangibilmente determinati a capire: Il sogno di una cosa chiede che dopo tanto vergognoso silenzio escano i nomi dei colpevoli. Ma l'applauso affermativo di una sala di ragazzi vale forse più di quelli.
La strage parla al presente: intenzionalmente il testo scarta i tempi al passato e la regia non usa le fotografie dell'attentato. La partitura entra in campo in punta di piedi, per non distrarre, quasi a commento dei gesti emotivi e carichi – teli strappati, acqua che trasporta brandelli di vita quotidiana spezzata, un cadavere rimosso da un tavolo di obitorio – poi via via si fa sempre più presente: nelle Arie in forma di ballata per il soprano, microfonato, nel materico colore d'orchestra, nei toccanti madrigali per voci sole, densi, cromatici. Splendidi cammei. A scandire i sette quadri dell'opera, a raccoglierne tutto il dolore.
In studiato equilibrio su diversi registri espressivi, Il sogni di una cosa fa didattica nel toccante monologo di Marco Baliani al fantoccio, burattino degli attentati. Fa teatro, quando i dieci incredibilmente bravi allievi del secondo corso di teatro-danza della Paolo Grassi di Milano ricreano le stazioni di questa laica Passione: dalla tempesta nella piazza sconvolta dopo l'esplosione della bomba, al compianto finale di tre madri coi figli morti tra le braccia. E fa pensiero, quando i video realizzati anche qui da studenti (dello Ied di Milano), che scorrono costanti, interagendo con la scena astratta di Carlo Sala, trascolorano dai volti di ieri, maggio 1974, nella processione senza parole dopo la strage, a quelli di oggi. Scavati in sguardi, ritratti fissi, che dicono tutto. In piazza della Loggia, sotto la statua della Vittoria: i danzatori le hanno preso la corona dalla mano e le si aggrappano, correndo sul palcoscenico. Raramente un'opera ha così ben incarnato storia, passione civile e speranze.
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Il sogno di una cosa, di Mauro Montalbetti; direttore Carlo Boccadoro, regia di Marco Baliani, regia video Alina Marazzi; Brescia, Teatro Grande; repliche tra ottobre
e novembre a Brescia, Reggio
Emilia, Milano

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