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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2014 alle ore 08:13.

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BRESCIA. Dal nostro inviato
Ubi completa il suo percorso di autoriforma. Con un voto giunto quasi all'unanimità, l'assemblea dei soci riunita alla Fiera di Brescia ieri ha approvato una revisione dello statuto che assegna più peso ai soci di capitale, riduce i consigli e rivede le regole per le assemblee.
Il Consiglio di Sorveglianza aveva già compiuto il primo passo nei mesi scorsi, introducendo il requisito del possesso minimo di 250 azioni per restare soci: le pulizie hanno portato alla cancellazione di 20mila nomi da un libro che oggi ne conta 75mila, e destato qualche critica espressa in assemblea. Mugugni, che non hanno condizionato l'esito dei lavori, in un'assemblea che in prima fila ha visto schierate le grandi famiglie imprenditoriali che da sempre fanno parte del mondo Ubi, nomi come Bombassei, Beretta, Radici, Zanetti: alla fine, dei 6.980 soci presenti al momento del voto, 6.870 hanno dato parere favorevole, contro i 95 contrari e i 15 astenuti. Un risultato netto, che va oltre le aspettative dei vertici: il tema dei soci di capitale è tradizionalmente scomodo nel mondo delle popolari, e dal dibattito della mattinata era emersa la contrarietà dei rappresentanti della minoranza in CdS.
Le nuove norme seguono alla lettera le disposizioni di Bankitalia pubblicate in settimana. Per questo il caso-Ubi è destinato in qualche modo a lasciare il segno nel mondo delle popolari: «Abbiamo dimostrato di essere in grado di autoriformarci, caso raro in un Paese in cui manca la propensione al cambiamento», ha commentato il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Andrea Moltrasio. «È un messaggio importante per le banche cooperative: dimostriamo che si può restare popolari aprendosi ai soci di capitale e si possono ridurre i consigli, decidendo sempre a larga maggioranza».
In futuro non si escludono ulteriori ritocchi alla governance, ma il più è fatto. Con le modifiche introdotte ieri in assemblea si mette a punto lo statuto costruito sette anni fa alla nascita del gruppo (la «pariteticità» tra le società partecipanti, ad esempio, ora è diventata «pari dignità») e si valorizzano allo stesso modo le quattro componenti del corpo sociale – clienti, dipendenti, amministratori, fondi: «Ora possiamo evitare la polarizzazione su una sola categoria», ha detto Moltrasio. Nel dettaglio, viene assegnato maggior peso ai soci di capitale, sia nella formazione delle liste (i fondi potranno farlo presentando almeno l'1% del capitale) sia nell'assegnazione dei posti nei consigli, un passaggio considerato importante in una banca in cui gli investitori istituzionali detengono stabilmente il 40% del capitale. Decisa, poi, la riduzione dei board dal prossimo rinnovo (da 23 a 17 i componenti della Sorveglianza e da un massimo di 11 a un massimo di 9 la Gestione) e un tetto anagrafico ai consiglieri: chi siede in CdS non potrà avere più di 75 anni, in Cdg il limite scende a 70. Innalzato fino a cinque il limite delle deleghe che i soci potranno presentare nelle assemblee, che d'ora in avanti prevederanno anche collegamenti in video conferenza e il voto a distanza.
«Non ho paura del nuovo, purché sia nuovo davvero», ha dichiarato polemicamente il consigliere Andrea Resti, l'anno scorso capolista della formazione espressa dai soci bergamaschi dell'associazione "Ubi, banca popolare". Un anno fa avevano catalizzato oltre 4.500 voti, ieri invece hanno invitato a disertare l'assemblea e il partito del dissenso si è limitato a una manciata di voti: «La banca ne esce più forte e coesa», secondo il commento di Franco Polotti, presidente del Consiglio di Gestione. Ora «ci potremo concentrare sulla redditività», come ha rimarcato ancora Moltrasio: l'obiettivo è quello di riservare maggiori soddisfazioni agli azionisti, con dividendi più alti rispetto ai sei centesimi approvati proprio ieri; qui la palla di fatto passa completamente nelle mani del consigliere delegato, Victor Massiah: in agenda c'è anzitutto l'esame Bce, «dove noi partiamo da coefficienti patrimoniali che rappresentano un vantaggio sui nostri competitor», ma intanto si è avviato uno studio sulla performance delle diverse banche del gruppo, visto che c'è chi corre (come la Popolare di Bergamo) e chi stenta. Anche la banca unica, cioè la possibilità di semplificare la rete societaria, «fa parte di un'analisi che stiamo affrontando», mentre eventuali matrimoni (ieri si è accennato a Veneto Banca) almeno per ora non sono in discussione: «Si vedrà più avanti. E comunque il successo degli aumenti di capitale di fatto riduce la necessità di correre alle aggregazioni».
@marcoferrando77
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