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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2014 alle ore 13:16.
L'ultima modifica è del 12 maggio 2014 alle ore 16:09.

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Da sinistra, Davide Ballardini ed Eusebio Di FrancescoDa sinistra, Davide Ballardini ed Eusebio Di Francesco

Gli occhiali scuri di uno per velare la realtà, quelli da vista dell'altro per guardarla meglio. Davide Ballardini ed Eusebio Di Francesco sono oggi lo Yin e lo Yang del calcio italiano che si snoda sulla strada dei Vini e dei Sapori dove ci si sfida oltre che sui campi di calcio sui taglieri delle sfogline. E per una volta il risultato è quello che non ti aspetti: il Sassuolo operoso e operaio di Di Francesco resta tra le grandi, il Bologna blasonato di Ballardini, no, dopo 6 anni ruzzola giù, in serie B.

Non tutti son buoni per i miracoli, il tecnico rossoblù lo ha capito. Ha provato a tenere assieme una squadra che già faticava quando aveva davanti Alessandro Diamanti, l'idolo della curva, l'uomo ai cui piedi era affidata la salvezza del Bologna e che ora sgambetta (con alterni risultati) in Cina con il Guangzhou. Non che con Alino in campo i felsinei avessero portato a casa risultati da sogno, ma la salvezza, obiettivo prefissato dalla società a inizio stagione, pareva un obiettivo vicinissimo alla realtà. Partito lui il sogno si è trasformato in utopia tra un presidente, Albano Guaraldi, inviso ai tifosi, al punto che ieri - seguendo il consiglio della Digos - non è nemmeno andato allo stadio, e una squadra incapace di portare a casa uno straccio di risultato utile.

«Siamo tutti profondamente dispiaciuti per quello che è successo - dice Ballardini a capo chino e con gli occhiali scuri ben saldi sul naso - e abbiamo le nostre responsabilità. Questa retrocessione è frutto di tutti i nostri errori». Errori dai quali ora prende le distanze anche il presidente onorario, Gianni Morandi che a poche ore dalla retrocessione ha rassegnato le sue dimissioni.

A 64 chilometri di distanza dal capoluogo emiliano c'è un comune che, per il secondo anno di fila, festeggia il suo salvatore, l'uomo del "Yes we did": Eusebio Di Francesco, l'allenatore che nel 2013 regalò la prima storica promozione al Sassuolo in serie A e che ieri, battendo il Genoa per 4 a 2, ne ha confermato la permanenza. Occhiali da vista con lenti limpidissime, Di Francesco, ha avuto comunque il suo daffare ad assicurare la A ai neroverdi anche per il prossimo campionato. Esonerato dalla società lo scorso 27 gennaio, dopo la sconfitta casalinga con il Livorno (che, così pour parler, è retrocesso) è stato richiamato il successivo 3 marzo ritrovandosi in mano una squadra che in poco più di un mese, sotto la guida di Alberto Malesani, non era riuscita a rimediare neanche un punto. A quota 17 l'aveva lasciata, a quota 17 l'aveva ripresa in mano. Destino vuole che la prima gara veda opposte al Dall'Ara proprio Bologna e Sassuolo: è uno zero a zero, ma Di Francesco si vede che c'è. E la squadra è con lui e nelle undici giornate che seguono il suo ritorno in panchina colleziona altri 17 punti assicurandosi un altro anno tra le grandi: «Il 17 è di sicuro il mio numero fortunato – ride sistemandosi gli occhiali da vista – e del resto mi ricorda Damiano Tommasi che era mio compagno di squadra nella Roma e che è veramente un ragazzo eccezionale. E quindi sì, con buona pace dei superstiziosi il 17 è il mio numero fortunato».

A questo punto, l'augurio a Di Francesco, è che incontri anche il presidente del Sassuolo, Giorgio Squinzi, il prossimo 17: «Non lo so quando ci incontreremo – ride – del resto dipende più dai suoi impegni che dai miei, ma di sicuro ci metteremo seduti attorno a un tavolo per parlare del futuro. Il passato è passato e io non sono permaloso». E nemmeno superstizioso, in effetti.

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