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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2014 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 12 maggio 2014 alle ore 12:11.

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Il talento non è gratis. Se lo attiri, cresci. Se lo fai scappare, perdi fino a 40mila euro. A tanto ammonta, secondo una ricostruzione di Page Personnel, il "costo" di un neoprofessionista che si forma in Italia e plana altrove dopo i primi intralci nel mercato del lavoro. Le conseguenze, per ora, sono tutte teoriche. Ma se si considera che i laureati trasferiti all'estero hanno sfondato il tetto dei 400mila - secondo gli ultimi dati Coldiretti - il buco scavato tra generazioni potrebbe allargarsi nell'ordine dei miliardi di euro.

La cifra, nel dettaglio, rappresenta il valore di un professionista dai 3 ai 5 anni di esperienza. Il calcolo è lineare: 40mila euro in più se il giovane resta operativo nelle azienda e nella Penisola, 40mila euro in meno se i contratti offerti altrove scalzano condizioni e prospettive di carriera in Italia. Le estrazioni sono diverse: ingegneri pagati meno del dovuto, medici in attesa dei concorsi per specializzazione, professionisti di finanza, marketing o information computer technology senza offerte convincenti in patria... Il nodo comune è un'emorragia che vanifica, nei fatti, il buon livello di formazione acquisito in scuole, università o società italiane: preparati a Roma o Milano, realizzati dai mille chilometri di distanza in su. E il guadagno, neanche a dirlo, è tutto altrui: «Se con guadagnare intendiamo acquisire una risorsa già formata e competente, possiamo dire che un paese che "importa" un talento ne trae un certo vantaggio, anche economico - sottolinea Francesca Contardi, amministratore delegato di Page Personnel - . Il nostro sistema universitario, molto spesso bistrattato e sminuito, rimane ancora buono».

Sull'esodo dei giovani, la diagnosi è nota. Tra i tanti deficit, pesano sempre di più lo stallo del ricambio tra generazioni e un circolo di assunzioni "per amicizie o conoscenze" che assorbe più di un contratto su tre. Qualcosa si sta muovendo, ma gli ostacoli ci sono ancora: «L'Italia negli ultimi anni ha visto un aumento delle opportunità di lavoro generate attraverso i canali moderni – spiega Cottardi -. Ma resta comunque ancora piuttosto legata al sistema di segnalazione diretta delle candidature: questo rappresenta sicuramente una barriera all'ingresso per talenti " non conosciuti"».

Ma allora, come si "salva" un talento? La Penisola, tra sali e scendi, resta attrattiva in segmenti come lusso, design e produzione meccanica. Senza contare il food, frontiera in ascesa per giovani e start-upper con età media sbilanciata sotto i 30 e tasso di istruzione elevato. Ma un conto è il terno al lotto di una professione o di un'impresa autonoma. Un conto le vie d'accesso nell'occupazione tradizionale. Secondo Contardi, i "fattori di ritenzione" nelle aziende dovrebbero essere tre: «La formazione, obiettivi chiari di medio e lungo periodo e il Work Life balance (il bilanciamento vita-lavoro che migliora equilibrio e performance lavorative, ndr). Le aziende che riescono ad offrire questi elementi hanno maggiori opportunità di riuscire a trattenere i migliori talenti a bordo». Con una postilla: il "patto generazionale" che sblocca il ricambio nelle aziende. «La lentezza del ricambio generazionale fa si che le opportunità di inserimento si riducano – ribadisce Contardi - anche se in alcune aziende si iniziano a vedere cosiddetti "patti generazionali" che possono permettere una maggiore flessibilità e apertura verso i giovani».

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