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Il ciclismo scopre un nuovo Cannibale: Bernard Hinault

Nona tappa, Lugo-Sestola: 172 chilometri con tre salite. La prima lontana dal traguardo, con un Gran premio di terza categoria posto ai 704 metri di Sant'Antonio. La seconda, di quarta categoria, a Rocchetta Sandri, ma il vero banco di prova dovrebbe essere la rampa finale che porterà da Fanano ai 1.538 metri di Sestola. Un'altra scrollata alla classifica non è improbabile. Di certo ne avrebbe approfittato il campione che ricordiamo oggi, Bernard Hinault.

Il mondo del ciclismo aveva appena celebrato l'uscita di scena di due grandissimi come Gimondi e Merckx, ed ecco presentarsi come dal nulla l'erede del Cannibale nelle grandi corse a tappe. Un francese, Bernard Hinault, che a prima vista non aveva nulla per spiccare nel gruppo. Il fisico era normale, anzi fin troppo compatto per uno che avrebbe dovuto misurarsi a cronometro e con le grandi salite. Ma che non fosse un tipo normale lo si era già capito nel 1977, quando si era aggiudicato la Gand-Wevelgem e la Liegi Bastogne-Liegi, arrivando sesto al suo primo Mondiale e vincendo una delle gare a cronometro per eccellenza, il Gran Premio delle Nazioni.

Nel 1978 arrivò al Tour de France per la prima volta. Vinse all'Alpe d'Huez, dove trionfano solo i più grandi, recuperando buona parte del terreno perso nella cronometro a squadre. E nella cronometro individuale di Nancy, a tre giorni dall'arrivo a Parigi, piazzò il colpo decisivo. Nessuno l'avrebbe più superato. Sarebbe stato solo il primo di cinque Tour de France, abbinati a tre Giri d'Italia e a due Vuelta di Spagna. Nella storia del ciclismo è uno dei cinque ad aver vinto le tre corse, ma è l'unico ad averlo fatto almeno due volte per ognuna: anche il grande Merckx, con la Vuelta, si era fermato a quota uno.

Non era esplosivo come il Cannibale, non era un dominatore assoluto su ogni terreno: in salita poteva anche perdere e, quando staccava gli altri, più che scattando lo faceva imponendo un ritmo insostenibile. Stroncava gli avversari pedalata dopo pedalata, come fece nel Mondiale del 1980 quando il secondo, l'italiano Baronchelli (altro tipo tostissimo) arrivo a più di un minuto. Era iniziata l'epoca del ciclismo fatto di rapporti spacca gambe e tirate infinite. A cronometro, vedendolo, non avresti mai detto che sarebbe andato forte: e invece più volte si dovette inchinare anche il grandissimo Francesco Moser. In volata non era velocissimo, ma di corse sul filo di lana ne ha vinte parecchie. Ha messo nel suo palmares oltre 200 corse, tra le quali spiccano la Parigi-Roubaix del 1981 e due Giri di Lombardia, nel 1979 e nel 1984.

A guardare l'elenco delle sue vittorie i numeri lo mettono tra i primissimi di ogni epoca: una valutazione più distaccata, che consideri anche gli avversari in circolazione, ci dice che forse è arrivato anche nel periodo giusto, quando i più forti stavano finendo di correre. Non ha avuto grandissimi rivali nelle corse a tappe: Moser e Saronni non erano di certo dei fulmini di guerra nelle corse di tre settimane, poi c'erano Van Impe, Kuiper, Baronchelli, Zoetemelk. Forse per questo motivo, nonostante le moltissime vittorie, non ha fatto breccia nel cuore dei tifosi di tutto il mondo come Merckx, Coppi, Bartali, Gimondi. Perchè un conto è se batti dei grandissimi rivali, un altro se trovi in circolazione avversari chiaramente inferiori. E nei grandi giri è stato così.

Questo non toglie alcun merito al "Tasso", come era stato soprannominato per la sua capacità di nascondersi nella pancia del gruppo come se fosse una tana, per uscirne all'improvviso ed azzannare la preda, in quel caso il rivale di turno. È stato grande perchè si è battuto su tutti i terreni, e su tutti i terreni è riuscito a prevalere pur senza riuscire a essere un dominatore assoluto. Ha battuto quelli che la storia gli ha messo davanti: tutti. I francesi lo accusavano di non amare la Roubaix, ed era vero: chiamava i tratti in pavè «quei maledetti sentieri». Ma per dimostrare che nessun traguardo gli era precluso vinse anche quella. Ha vinto le grandi classiche, ha vinto il mondiale. Tutto quello che permette a un corridore di entrare nella leggenda.

Durante le interviste le sue risposte iniziavano invariabilmente con una parola: «effectivement», anche se poi diceva esattamente il contrario rispetto alla tesi di chi lo stava intervistando. Non è mai arretrato di una passo quando si è trattato di difendere gli interessi dei corridori, di tutti i corridori, anche contro i potentissimi organizzatori del Tour: quando ci furono le proteste per l'eccessiva lunghezza dei trasferimenti, con i ciclisti che percorrevano a piedi gli ultimi cento metri della tappa, Bernard Hinault non si è mai nascosto. Era dove doveva essere, in testa al gruppo. Il destino dei numeri uno.

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