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«L'imperatore» del ciclismo è stato Rik Van Looy

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Diciassettesima tappa, Sarnonico-Vittorio Veneto: 208 chilometri di continuo saliscendi. Tre Gran Premi della montagna di quarta categoria che sono in realtà dei piccoli strappi, come nelle grandi classiche. Una tappa per velocisti, ma soprattutto per uomini capaci di imporsi nelle corse di un giorno. Il campione di oggi non poteva essere che «L'imperatore di Herentals», Henry "Rik" Van Looy.

Professionista dal 1953 al 1970, non era un predestinato. Le vittorie da dilettante avevano fatto intravedere le doti di un buon corridore, ma non di un campione: insomma uno che per arrivare primo sulla linea del traguardo doveva lavorare molto e duramente, per migliorarsi e mettere la propria ruota davanti a quella degli altri.

Ha lavorato molto, Rik Van Looy, moltissimo: nella storia del ciclismo con 371 vittorie è secondo solo a Eddy Merckx. È diventato un campione immortale, ha dimostrato come la forza di volontà possa fare miracoli. Tra gli anni 50 e 60 è stato il dominatore delle grandi classiche, l'unico nella storia del ciclismo ad essersi affermato in tutte le più importanti gare previste dal calendario internazionale: anche nella Parigi-Tours, che manca invece nel palmares del Cannibale. A fine carriera avrebbe collezionato tre Parigi-Roubaix, due Giri delle Fiandre, due Parigi-Tours, due Gand-Wevelgem, una Milano-Sanremo, un Giro di Lombardia, una Liegi-Bastogne-Liegi, una Freccia Vallone.

A lui si deve l'invenzione di una tattica che è diventata regola nel ciclismo moderno: far fare «il treno», come si dice in gergo, ossia mettere i gregari a tirare davanti al gruppo per mantenere un'andatura elevata. L'ideale, per le caratteristiche di Van Looy, che infatti vinceva quasi sempre. Nelle corse a tappe di tutta Europa avebbe tagliato il traguardo in prima posizione per oltre cento volte.

Ha vinto due Campionati del mondo, nel 1960 in Germania e nel 1961 in Svizzera. In volata, manco a dirlo. Avrebbe potuto rivincere nel 1963, a Renaix, ma il compagno di squadra Benoni Beheyt, che aveva sostenuto affinché fosse convocato in Nazionale, lo tradì in modo vergognoso: Van Looy arrivò secondo, lo sgarbo resta negli annali.

Nei grandi Giri non ha mai avuto ambizioni di classifica: non era abbastanza forte in salita e a cronometro per contrastare gli specialisti delle corse a tappe di tre settimane. Ha comunque sfiorato il podio al Giro del 1959, arrivando quarto, e per due volte è salito sul terzo gradino nella Vuelta di Spagna.

Al Giro d'Italia del 1961, a sorpresa, Van Looy attacca in montagna, indossando la maglia iridata: sulla salita dello Stelvio il suo vantaggio è di oltre sette minuti su Charly Gaul e prosegue fino a prendere, anche se solo in modo virtuale, la Maglia Rosa. Il distacco in classifica di Gaul arriva a cinque minuti. Poi, improvvisamente, uno strappo muscolare annulla l'impresa più bella: Van Looy raggiunge comunque il traguardo, coraggiosamente, ma il sogno del Giro è svanito per sempre.

Se in quegli anni fosse esistito un campionato del mondo a punti, Van Looy ne avrebbe vinti almeno una decina. Solo Merckx è riuscito a superarlo per numero di vittorie: è stato necessario un Cannibale. Dopo il ritiro ha lasciato definitivamente il mondo del ciclismo, limitandosi a poche apparizioni in occasione di feste e ricorrrenze. Del resto lui, Rik Van Looy, è «L'imperatore»: non uno qualsiasi. In una tappa come quella di oggi per gli avversari non ci sarebbero state speranze.

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