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Freddy Maertens, un «quasi Cannibale» dal carattere fragile

Freddy Maertens (Afp)Freddy Maertens (Afp)

Ventunesima tappa, Gemona-Trieste: 172 chilometri disegnati apposta per i velocisti, come da tradizione per l'ultima tappa del Giro d'Italia. Il percorso ondulato non toglierà agli specialisti dello sprint il privilegio di giocarsi la vittoria in volata. Il campione di oggi è Freddy Maertens.

Se avesse avuto un altro carattere probabilmente avrebbe potuto davvero diventare il nuovo Eddy Merckx, come scrissero in molti all'inizio della sua carriera. Invece era fragile, non riusciva a gestire il successo, commetteva in corsa errori che lo rendevano antipatico ai grandi: che, puntualmente, gli facevano pagare con gli interessi lo sgarbo subìto. Eppure Maertens merita di essere citato tra i migliori di sempre. Perché, nonostante tutto, ha vinto tantissimo.

Diventa professionista nel 1972 ma già l'anno dopo, sul circuito di Barcellona, è tra i favoriti per la vittoria del Mondiale. L'arrivo è in volata dove a sorpresa, tra lui e Merckx, spunta la ruota vincente di Felice Gimondi. Si rifarà più avanti, vincendo due titoli: a Ostuni, nel 1976, battendo in volata Francesco Moser, e nel 1981 a Praga, dove di fatto trova il canto del cigno superando allo sprint Giuseppe Saronni. I suoi anni migliori sono stati quelli tra il il 1974 e il 1977, dove ha messo a segno rispettivamente 34, 33, 54 e 53 vittorie. Numeri da Cannibale, come si diceva.

Ha messo nel suo palmares la Gand-Wevelgem, l'Amstel Gold Race, la Parigi-Nizza. Al Tour de France del 1976 ha eguagliato il record di Eddy Merckx con otto vittorie di tappa, al Giro del 1977 ne ha collezionate sette. Proprio in questo Giro è accaduto l'episodio che ne ha probabilmente segnato la carriera: nella tappa che porta da Forlì al circuito del Mugello Freddy Maerten cade dopo la volata vinta su Van Linden, si frattura un polso. Per lui finisce un giro che stava dominando, con indosso la Maglia Rosa. Quando torna alle corse non sarà più lo stesso Maertens.

Eppure aveva dimostrato di poter vincere una grande corsa a tappe proprio alla Vuelta di quell'anno, dominata da cima a fondo: 13 le vittorie di tappa, un record mai eguagliato nei grandi Giri, con la maglia di leader indossata dal primo all'ultimo giorno. Ma soprattutto la consapevolezza di potersela giocare fino in fondo, anche sulle grandi salite, con i migliori. Un sogno spezzato insieme al polso, per una maledetta caduta dopo la settima e inutile vittoria: ma un Cannibale non si tira mai indietro, quando vede la linea del traguardo.

Dopo il suo rientro riesce ancora a vincere un Mondiale, come abbiamo detto, e cinque tappe al Tour de France del 1981, dove conquista per la terza volta in carriera la maglia della classifica a punti.

Ma è bello ricordarlo negli anni d'oro, quando leggendo l'ordine d'arrivo di una corsa trovavi invariabilmente il suo nome in cima alla lista. Quando per batterlo, in volata, dovevi davvero fare un miracolo come Gimondi a Barcellona. Quando la cosa che gli avversari vedevano più spesso, di lui, era la schiena. Nella tappa di oggi, con l'arrivo a Trieste, avrebbe piazzato lo scatto vincente.

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