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Ercole Baldini, il «treno di Forlì» che vinceva in tutto il mondo

Ercole Baldini (Olycom)Ercole Baldini (Olycom)

Diciannovesima tappa, Bassano del Grappa-Cima Grappa: 26 chilometri a cronometro, ma tutti in salita, con una pendenza massima del 14 per cento. Non basterà essere scalatori, non basterà essere specialisti contro il tempo. In questa tappa servirà mettere insieme le due cose, come sapeva fare mirabilmente il campione che ricordiamo oggi: Ercole Baldini.

Che fosse un tipo fuori dal normale lo si era capito presto: nel 1954, a soli 21 anni e quando era ancora dilettante, si presenta al Vigorelli di Milano con l'intento di battere il record dell'ora stabilito dal più grande cronoman di tutti i tempi, Jacques Anquetil. Baldini vola, giro dopo giro, fino a fermare i cronometri alla media di 46,393. È il nuovo record: nell'albo d'oro dell'Ora, dopo Coppi e Anquetil, adesso c'è il suo nome.

Si presenta alle Olimpiadi di Melbourne, nel 1956, per la prova su strada. Poche le speranze e soprattutto nessun pronostico a suo favore da parte degli addetti ai lavori. Il percorso, con uno strappo nel finale, sembra favorire atleti di altra stazza, capaci di scattare con leggerezza e fare il vuoto. Su quello strappo Baldini stacca tutti e vola da solo verso il traguardo. A l momento della premiazione nessuno trova il disco con l'Inno di Mameli. Rimediano un gruppo di emigrati italiani, che cantano a squarciagola mentre il Tricolore sale sul pennone più alto.

Nel 1957 passa professionista. Vince il Trofeo Baracchi, una classica a cronometro che si corre a coppie: insieme a lui c'è Fausto Coppi. Per il Campionissimo sarà l'ultima vittoria di una carriera straordinaria. Baldini nello stesso anno vince il Giro di Romagna, il campionato italiano, il Giro del Lazio e il Gran Premio di Lugano. Al Giro d'Italia stupisce nella cronometro di Forte dei Marmi: il suo ritmo stronca tutti, decine di corridori finiscono fuori tempo massimo. La giuria è costretta a trovare una scappatoia nel regolamento per riammetterne almeno una parte. A Milano Baldini è terzo in classifica, dietro Nencini e Bobet.

L'anno successivo, il 1958, si presenta al Giro d'Italia, ma i favori del pronostico non sono per lui: in circolazione ci sono campioni come Nencini, Gaul, Bobet. Uomini capaci di grandi imprese in salita, e il Giro di quell'anno prevede montagne a non finire. Baldini vince le due cronometro di Comerio e Viareggio, come era facile prevedere, ma compie l'impresa nella tappa che porta a Bosco Chiesanuova. L'avvicinamento da Cesena a Verona stronca le gambe di tutti, ma non le sue, che a metà salita è ancora lì pronto a rispondere agli attacchi e agli scatti degli scalatori. Poi, all'improvviso, lo piazza lui uno scatto. Finisce la tappa e finisce il Giro, perché Baldini si ripete nel tappone dolomitico e porta la Maglia Rosa fino a Milano.

Salta il Tour de France per prepararsi al Mondiale che quell'anno si corre a Reims, in Francia, a casa di Luison Bobet. Un Bobet che si era preparato per vincere il titolo, per festeggiare in mezzo ai suoi tifosi. Percorso duro, di 276 chilometri, con una salita messa lì apposta per far spiccare il volo al campione di casa. E infatti Bobet attacca già al secondo giro, quando al traguardo mancano 250 chilometri. Alla sua ruota resistono solo Nencini, Voorting e Baldini, che schizza fuori dal gruppo come una palla di cannone per non perdere la fuga buona. Nessuno li riprenderà più, anche grazie alla straordinaria regia di Fausto Coppi che nelle retrovie blocca ogni tentativo di recupero da parte del gruppo. A 50 chilometri dall'arrivo, sulla salita disegnata per Bobet, Baldini parte all'attacco. Lo rivedranno solo al traguardo, dove arriva con due minuti di vantaggio.

Nel 1959 viene operato per un'appendicite: operazione che, all'epoca, non era la passeggiata di oggi. Baldini non sarà più lo stesso. Eppure, nelle poche giornate di buona vena che il fisico gli concede, riesce ancora a battere tutti nel Gran Premio delle Nazioni a cronometro, a staccare Gaul e Bahamontes sulle montagne del Tour.

Dopo il ritiro, amato e rispettato da tutti i corridori, è stato direttore sportivo, Presidente dell'Associazione ciclisti e Presidente della Lega.

Una cronoscalata come quella di oggi «il treno di Forlì» non se la sarebbe fatta scappare.

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