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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2014 alle ore 20:27.
L'ultima modifica è del 14 maggio 2014 alle ore 21:29.

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NEW YORK - Nuove frontiere del giornalismo (e non). Dal New York Times arriva una rivelazione shock: i suoi celebrati lettori - celebri per la loro istruzione e i loro interessi considerati superiori alla media - spendono oggi la stessa quantità di tempo su articoli veri propri e sulle nuove storie sponsorizzate invece dagli inserzionisti.

La rivelazione è stata fatta direttamente da Meredith Levin, vice direttore della pubblicità al Times, intervenuta oggi a un evento organizzato dalla American Association of Advertising Agencies. L'equilibrio dell'identico successo, ha anzi aggiunto Levin, semmai si spezza a favore dei cosiddetti "paid post", che a volte hanno più seguito di pubblico rispetto agli articoli. Un recente esempio citato: il Times ha aiutato la compagnia aerea American Airlines a sviluppare un grafico interattivo su quanto a lungo gli atleti avrebbero dovuto viaggiare per recarsi alle Olimpiadi invernali di Sochi. Ebbene, questo pacchetto "informativo" è stato capace di generare 200.000 accessi, ben più di una normale storia del giornale.

Il New York Times ha lanciato soltanto a gennaio il nuovo servizio delle storie sponsorizzate. Una decisione che ha sollevato non poche polemiche, sulla salvaguardia di giornali e giornalismo, sulla necessità di innovare e cambiare al passo con la tecnologia online e sul prezzo da pagare alla ricerca di modelli economici capaci di rastrellare "pedaggi" sull'autostrada elettronica. Al momento il quotidiano ha otto inserzionisti partecipanti, con altri che dovrebbero aggiungersi rapidamente nei prossimi mesi.

Una prospettiva sicuramente agevolata dai dati messi in luce oggi da Levin, che non hanno mancato di destare qualche sorpresa: inizialmente questo nuovo contenuto pubblicitario, chiamato anche "native advertising" e adottato o sperimentato da un crescente numero di grandi pubblicazioni quali anche il Wall Street Journal, era parso in realtà attirare meno interesse tra i lettori dei principali siti rispetto a notizie, commenti e approfondimenti. Non sarebbe ormai più così, grazie alla qualità che verrebbe comunque assicurata: «I marchi raccontano delle storie e le raccontano legate alle notizie», ha affermato Levin.

E l'idea di questi marchi che lavorano assieme a prestigiosi editori «sta funzionando molto bene», ha aggiunto. Il Times, ha spiegato, vende loro non solo «audience e contesto», condivide «strumenti e standard per il racconto».
Con buona pace del motto "All the News that's fit to print", tutte le notizie che meritano di essere pubblicate, che tuttora campeggia sulla sua prima pagina. Quella cartacea.

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