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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2014 alle ore 07:04.
A volte la governance gioca brutti scherzi. Il consiglio uscente di Telecom si era espresso a favore di una presidenza non esecutiva per il rinnovo del board, raccomandazione poi disattesa dagli eventi. In meno di un mese il nuovo presidente, Giuseppe Recchi, ha infatti già perso la qualifica di indipendente con la quale si era presentato all'assemblea del 16 aprile.
"Colpa" delle deleghe "pesanti" che sono state attribuite alla presidenza dopo la nomina diretta in assemblea (chiesta non da Telco che aveva Recchi a capo della sua lista finita in minoranza, ma dalla "sfidante" Findim che aveva avanzato per la carica un'altra candidatura) e l'investitura plebiscitaria da parte dei soci, con il voto di oltre il 50% del capitale. Alla prima riunione del nuovo board, il 18 aprile scorso, il problema non si era posto e il consiglio aveva «preventivamente proceduto all'accertamento dei requisiti di indipendenza qualificati» a partire proprio dal presidente Recchi, al quale erano stati attribuiti il ruolo di indirizzo e supervisione dei piani strategici, industriali e finanziari e delle linee guida di sviluppo, la supervisione della definizione degli assetti organizzativi e dell'andamento economico-finanziario, la rappresentanza della società nei rapporti con le autorità, le istituzioni e gli investitori e, infine, la responsabilità organizzativa delle funzioni affari legali, stampa, affari regolamentari, corporate social responsability e la supervisione dell'audit. In linea, dal eresto, con quanto concordato con l'ad Marco Patuano.
Tuttavia, nel consiglio di lunedì, una seconda disamina dei requisiti, sollecitata – secondo quanto riferito da una nota Telecom – dallo stesso presidente, ha portato a conclusioni differenti. «Alla luce delle deleghe ricevute – si legge – il presidente ha constatato il venir meno dei requisiti della qualifica formale di "consigliere indipendente"», pur in «assenza di relazioni con i soci rilevanti, con il revisore legale e con il management della società, nonchè di relazioni economiche e professionali con il gruppo diverse da quelle derivanti dalla presidenza del consiglio di amministrazione di Telecom Italia».
Ora, il punto è che l'articolo 147-ter del Tuf dispone testualmente: «L'amministratore indipendente che, successivamente alla nomina, perda i requisiti di indipendenza deve darne immediata comunicazione al consiglio di amministrazione e, in ogni caso, decade dalla carica». Un'interpretazione letterale della disposizione di legge farebbe decadere cioè il presidente dalla carica di consigliere, una situazione cui si potrebbe rimediare cooptandolo e procedendo alla sua nomina al vertice in consiglio. Non senza conseguenze, tuttavia, dato che alla prossima occasione utile la cooptazione dovrebbe essere ratificata dall'assemblea. E con tutte le insidie del caso, perchè tra un anno, alla prossima assemblea di bilancio (non se ne prevedono altre prima), Telco con tutta probabilità non ci sarà più e con essa la compagine di riferimento che finora ha espresso i quattro quinti del board.
Per sgombrare il campo da dubbi alcune società (per esempio Parmalat) hanno trasferito la disposizione di legge direttamente nello statuto. In Telecom l'argomento era stato probabilmente sfiorato nell'ambito del processo di ammodernamento della governance, ma poi, complici i tempi stretti, si era deciso di lasciare invariato lo statuto, limitandosi a semplici "raccomandazioni", per natura non vincolanti. In passato si è presentato comunque il caso di consiglieri che avevano perso il requisito di indipendenza, ma che non per questo erano decaduti automaticamente (per esempio è successo in Fiat). In Telecom – dove Recchi non è decaduto – evidentemente ha prevalso un'interpretazione non letterale della legge. Un'interpretazione che allarga la conformità al requisito di indipendenza dal singolo all'organo sociale. Lo stesso Tuf prevede, per un consiglio composto da 7 o più membri, che almeno due siano indipendenti: in quello di Telecom, dopo la verifica di lunedì, gli indipendenti sono ancora 9 su 13.
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