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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2014 alle ore 06:38.

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ROMA
Nelle manovre orchestrate dalle cancellerie europee di cui parla Timothy Geithner «c'è un interesse italiano da difendere». Perciò l'approfondimento dell'intera vicenda che si attende dalla commissione d'inchiesta nazionale, a questo punto ineludibile, «bisognerebbe che si allarghi al più ampio contesto europeo». «Qualcuno dovrà pur chiarire da chi sono mossi questi cosiddetti officials», dice Silvio Berlusconi. E la domanda, per ora necessariamente sospesa, trasmette tutta l'impressione che sul versante della storia rivelata dall'ex segretario al Tesoro americano l'ex Cavaliere voglia insistere ancora nella campagna elettorale.
Come si fa notare dal suo entourage, d'altronde nella ricostruzione offerta dall'economista allora in prima linea nell'amministrazione Obama si è avuta solo una prova ulteriore, l'ennesima, di un quadro già ben noto fin nei dettagli. Se il presidente della Repubblica chiarisce in modo fermo che di nessuna azione il Quirinale era a conoscenza e che le ragioni del passo indietro di Berlusconi non avevano spiegazione diversa dal contesto politico interno alla maggioranza, ormai in pezzi da tempo, ebbene, la versione del leader di Forza Italia dista anni luce. Ecco il motivo per il quale, di primo mattino a Coffee break de La7, insiste col dire che quella sofferta decisione nel novembre 2011 fu «una scelta dettata dalla responsabilità, ma non certo libera». Tutto il partito segue il capo nella richiesta di fare chiarezza, allo stato possibile solo attraverso l'istituzione di una «commissione d'inchiesta». Il presupposto forte ribadito più tardi in giornata a Telecamere da Berlusconi rimane la convinzione che «se quello che mi è capitato fosse accaduto ad un premier di sinistra ci sarebbe stata la rivoluzione», con la gente «sotto le ambasciate». Ancora quello strano clima che precedette l'abbandono divenuto ora più comprensibile alla luce delle notizie in arrivo da Oltreoceano. «Come mai diversi miei colleghi sapevano che in pochissimo tempo Monti sarebbe diventato premier?» è il rovello che continua a occupargli la mente, con riferimento al G-20 di Cannes dove, in base ai ricordi, molti capi di governo già erano a conoscenza del cambio di inquilino a Palazzo Chigi.
Messo da parte il tema del presunto «golpe», ridimensionato ma non più di tanto nella sostanza dall'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti a «un dolce colpo di stato, un douce coupe d'etat, come ha detto Jurgen Habermas», il Cavaliere batte i temi della stretta attualità con piglio. Il governo Renzi a suo giudizio «non durerà fino al 2018», al massimo tra un anno e mezzo si andrà a votare. Nel caso si arrivasse comunque a fine legislatura Berlusconi mette in chiaro che non sarà più lui il leader. Su Marina, erede naturale secondo molte voci della creatura paterna, la linea rimane improntata alla massima cautela: «Farò di tutto per dissuadere i miei figli dall'entrare in un settore della politica che fa venir fuori il peggio degli uomini». Angelino Alfano avrebbe dovuto raccogliere quel testimone, e purtroppo «ha preso un'altra decisione diventando il leader di un altro partito». Di Grillo si seguita a pensare il peggio, visto nei panni di «un aspirante dittatore» al punto che «in Europa viene guardato con molto sospetto». Diverso il discorso per Matteo Renzi. Berlusconi non nega le difficoltà in cui versa l'accordo per le riforme cambiate unilateralmente dalla sinistra, ma il giudizio positivo sul presidente del Consiglio («è simpatico») non ne è scalfito.
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AMATO
«Nel semestre italiano riforme per tutta la Ue»
Il semestre di presidenza italiana della Ue può avere come obiettivo realistico un forte programma quinquennale per l'Unione di riforme di cui tutta l'eurozona ha bisogno, a partire dal mercato dell'energia. La prospettiva è stata delineata da Giuliano Amato nel confronto con Giulio Tremonti alla presentazione de "la Sfida europea" curata dall'Enciclopedia Italiana, con interviste di Luigi Contu e Giorgio Giovannetti. Per Tremonti due i fattori per uscire dal "collo di bottiglia": ridimensionamento del cambio con il dollaro - obiettivo condiviso da Amato - ed eurobond, «strumento contro la speculazione».
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