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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2014 alle ore 08:12.

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La marcia trionfale del fiore di loto, simbolo del partito Bjp di Narendra Modi e il declino della dinastia Nehru-Gandhi potrebbero favorire una soluzione per far tornare in Italia i due fucilieri del Battaglione San Marco Salvatore Girone e Massimiliano La Torre, accusati di avere ucciso nel 2010 due pescatori del Kerala scambiati per pirati.
Il nuovo primo ministro Modi era stato definito durante la campagna elettorale l'anti-italiano e da nazionalista di ferro non aveva rinunciato a strumentalizzare la vicenda contro la rivale Sonia Gandhi, auspicando che i due marò finissero in carcere. Ma forse è stato proprio il "fattore Sonia", l'italianità della donna più potente dell'India, alla guida del Partito del Congresso, a costituire un'impasse a un caso dai risvolti complicati e a tratti paradossali.
La sconfitta di Sonia e l'insediamemto di un governo di centro-destra forte e stabile, dalle stigmate nazionaliste, potrebbe forse rendere più facile un compromesso, così almeno si augura anche il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi: «Avremo un interlocutore forte, per chiarire i punti di vista senza ulteriori difficoltà», ha dichiarato ieri. Vedremo se è un ottimisno giustificato.
In realtà anche dal punto di vista giuridico le cose sono decisamente cambiate dal momento che il governo italiano ha scelto di "internazionalizzare" la vertenza. Dopo avere accettato per oltre due anni la giuridisizione di Delhi, dando battaglia in tribunali locali inaffidabili e dai codici assai dubbi, ha imboccato la strada dell'arbitrato internazionale, accompagnata dall'uscita di scena dell'inviato De Mistura e dal ritorno in India dell'ambasciatore Daniele Mancini.
Questo significa che l'Italia rivendica di poter giudicare penalmente i due marò e si rivolge per questo alla Corte dell'Aja e ai tribunali internazionali. Ma l'arbitrato non esclude una soluzione negoziata. Forse neppure l'India ha interesse ad assumere posizioni sulla tutela dei militari all'estero contrarie ai suoi stessi interessi, visto che è il terzo stato del mondo per soldati e personale di polizia impiegato in operazioni della Nazioni Unite.
Dovremo quindi seguire la consueta politica del doppio binario: la ricerca di un arbitrato e quella di una soluzione di compromesso, per salvaguardare gli interessi, politici ed economici, di tutte la parti in causa.
Non sappiamo davvero che cosa abbia in testa Narendra Modi. È un leader dalle mille facce. È stato militante di movimenti fondamentalisti indù di stampo paramilitare; nel 2002 fu accusato di avere tollerato nel suo Stato del Gujarat il massacro di migliaia di musulmani, al punto che gli venne tolto il visto d'ingresso negli Stati Uniti e in Europa. «Certo che dispiace - fu il suo commento a quelle stragi - come dispiace quando vediamo un cagnolino messo sotto da un'auto». È ovviamente un cinico ma pure un politico abile, che ha dato prova di efficacia nei rapporti con il mondo degli affari, cogliendo grandi successi nell'amministrazione del suo Stato. Anche in politica estera sembra incline al pragmatismo senza rinunciare al suo marchio di fabbrica. Interrogato sui marò è stato lapidario: «Perché non sono in prigione?». Eppure potrebbero prevalere nel nuovo leader le considerazioni pratiche, come la necessità di rilanciare i rapporti con l'Italia, quarto partner europeo di Delhi. Questo è comunque l'uomo con il quale dobbiamo negoziare e forse farlo dietro le quinte, evitando le chiacchiere inutili, porterà a qualche risultato.
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