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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2014 alle ore 08:13.

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ROMA
Verbale secretato e ridda di voci prima, durante e dopo l'interrogatorio, su nuovi capi di imputazione a carico di Claudio Scajola, arrestato la scorsa settimana. A porre fine alla girandola impazzita, Giorgio Perroni, legale dell'ex ministro dell'Interno. «È assolutamente falso – dichiara l'avvocato al Sole 24 Ore – che ci sia un'accusa di riciclaggio o altre ipotesi di reato delle quali il mio assistito debba rispondere».
L'interrogatorio, durato oltre sei ore nel carcere romano di Regina Coeli, ha così ruotato intorno a un sola ipotesi di reato, quella di avere agevolato la latitanza dell'ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato il 6 giugno 2013 con sentenza definitiva a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nessun accenno, dunque, nel corso dell'interrogatorio svolto dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e dal sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio, alla presunta associazione segreta, collegata alla 'ndrangheta. «Scajola ha risposto serenamente a tutte le domande – continua Perroni – anche grazie al clima disteso che si è instaurato con i pm». «Scajola ci teneva a chiarire e spiegare tutti i fatti – ha detto l'altra legale Elisabetta Busuito –. Aspettava con ansia di poterlo fare e ci è riuscito, nel corso di un interrogatorio complesso e articolato». Per il momento non sono stati programmati nuovi incontri tra l'ex ministro e i magistrati che, invece, potrebbero incontrare presto Chiara Rizzo, moglie dell'armatore Matacena, attesa non prima di lunedì alla frontiera ligure di Ventimiglia.
Nella ridda di voci ieri non è mancata neppure quella che arrivava da Napoli, dove la Dda guidata da Giuseppe Borrelli ha portato a termine un'operazione che ha coinvolto anche alcuni presunti affiliati al clan camorrista Schiavone-Iovine-Russo. Tra i 18 arrestati ci sono anche due poliziotti, uno in servizio alla Camera e l'altro presso la presidenza del Consiglio dei ministri, che sono finiti ai domiciliari. Secondo la Procura uno dei due, in una girandola di rapporti finalizzati a rendere servizi a politici, imprenditori o alte cariche dello Stato, si sarebbe reso protagonista di rivelazioni che avrebbero dovuto rimanere segrete.
r.galullo@ilsole24ore.com
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