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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2014 alle ore 14:08.
L'ultima modifica è del 18 maggio 2014 alle ore 20:52.

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Christine Lagarde (Afp)Christine Lagarde (Afp)

Sarà stata la pratica del lavoro comune svolto dalla Troika, la task force composta da Ue, Bce e Fmi o la forza intrinseca del direttore generale dell'Fmi, ma le voci di una candidatura di Christine Lagarde a presidente della Commissione Ue si fanno sempre più forti.

Alla domanda di chi sarà il prossimo presidente della Commissione europea, molti analisti delle segrete cose europee, non indicano il socialdemocratico Martin Schulz o il democristiano Jean-Claude Juncker ma un terzo incomodo. Se nessuno dei due "pesi massimi" dovesse vincere con un netto vantaggio, anche a causa del voto dei populisti, allora potrebbe farsi avanti un candidato alternativo di stazza internazionale, già ex ministro dell'Economia francese, attuale direttrice del Fondo monetario: Christine Lagarde. Naturalmente la diretta interessata smentisce con forza le indiscrezioni ma la partita è aperta, sottolineano a Bruxelles gli addetti ai lavori. E molto naturalmente dipenderà dall'esito delle elezioni per il rinnovo del Parlamento del 25 maggio.

L'ipotesi su cui puntano i conoscitori degli equilibri europei è l'ipotesi dello stallo politico a livello continentale, cioè quella situazione dove nessuna delle due grandi formazioni politiche - il Ppe e il Pse – con i due rispettivi "cavalli di razza" in campo, il lussemburghese Jean Claude Juncker e il tedesco Martin Schulz, prevarrà nettamente (al momento la prospettiva più probabile). Al quel punto si dovrà trovare un compromesso che potrebbe favorire proprio Lagarde in quanto donna, esperta di questioni internazionali e finanziarie, candidato sostenuto dal cancelliere tedesco Angela Merkel che non vuole lasciare al Parlamento europeo la scelta definitiva, non esposta al rischio di un "niet" preventivo inglese e, in quanto francese, sostenibile anche dal presidente socialista François Hollande anche se la Lagarde era stata ministro e fedele alleata di Nicolas Sarkozy.

Ma la scelta del nuovo presidente della Commissione - che i 28 leader della Ue cominceranno a discutere dal 27 maggio in un vertice informale a Bruxelles - è solo uno dei tanti nodi che dovranno essere sciolti nei prossimi mesi, nel corso della presidenza di turno dell'Italia, un semestre che si prevede complesso e denso di appuntamenti importanti.

Sul fronte delle nomine in particolare, i partner europei dovranno completare il puzzle scegliendo anche il presidente permanente del Consiglio Europeo (il sostituto del "grigio" Herman Van Rompuy) e quello dell'Eurogruppo (oggi in mano all'olandese Jeroen Dijsselbloem che non è stato proprio impeccabile nella conduzione ad esempio della vicenda della crisi economica di Cipro). E soprattutto, secondo le intenzioni del governo italiano espresse recentemente a Bruxelles all'Ansa dal sottosegretario agli affari europei Sandro Gozi, "mettere in discussione lo status quo" dell'Unione.

Un'azione a 360 gradi che avrà come momento centrale il Consiglio Europeo di ottobre, quando i 28 avranno sul tavolo le proposte sugli accordi di partenariato per favorire crescita e occupazione, le due parole magiche che si dovranno aggiungere ad austerity e conti in ordine, il mantra tedesco fin qui seguito da tutti i partner salvo la Gran Bretagna di Cameron. In quell'occasione, secondo Gozi, si dovrà andare oltre il concetto di regole "rigide a taglia unica" passando a politiche flessibili che consentano di fare fronte al costo delle riforme e rilanciare lo sviluppo.

Un fronte sul quale il governo Renzi è più determinato che mai a giocare in pieno la sua partita in Europa per sfruttare tutti i margini di manovra previsti dalle regole della governance economica. «Perché la chiusura psicologica mostrata finora dalla Commissione - ha sottolineato Gozi - non è più accettabile». Staremo a vedere come gli altri partner risponderanno alle sollecitazioni del governo italiano.

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