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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2014 alle ore 18:12.
L'ultima modifica è del 18 maggio 2014 alle ore 18:37.

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La tragedia della miniera turca di Soma e i suoi 301 morti sta ponendo in discussione il modello economico turco degli ultimi dodici anni. Ankara nell'immediato, ovviamente, dovrà cercare di aumentare la sicurezza delle miniere turche, rendendo per esempio obbligatorio l'istallazione delle spie che rivelano il monossido di carbonio o l'uso di impalcature di metallo e non di legno. Ankara dovrà minimizzare questi disastri, con nuove regolamentazioni adottando ogni possibile precauzione seguendo le indicazioni di una futura commissione d'inchiesta parlamentare sulla sicurezza delle miniere di Soma.

Ma questa tragedia è un campanello d'allarme per tutto il modello di sviluppo del Bosforo fin qui seguito fatto di liberismo spesso sfrenato, atteggiamenti poco attenti all'ambiente paesaggistico, allo scarso rispetto delle normative anti-sismiche nella costruzione di nuovi edifici e alla separazione dei poteri dello stato di diritto.

Un modo di vedere lo sviluppo come se fosse un fiume in piena il cui corso non deve essere regolato da argini, canali, dighe e altri sbarramenti che ne rendano fertile, per tutti e non solo per pochi, il suo passaggio. Invece il fiume (il mercato o la sua mano invisibile) ha bisogno di regole certe e trasparenti per poter dare i suoi frutti migliori.

Il Governo turco guidato dall'Akp si è impegnato a fare investimenti pubblici nel settore della sanità, dei trasporti (tunnel sotto il Bosforo, terzo ponte a Istanbul), nuove linee ferroviarie ad alta velocità e nuove centrali nucleari. Bene, ma sembra uno sforzo notevole per l'erario, una scelta elettorale che potrebbe però compromettere la solidità dei conti pubblici. L'Akp del premier Recep Tayyip Erdogan ha avuto la saggezza negli ultimi dodici anni di aver seguito finora la politica economica di solidità macroeconomica ereditata da Kemal Dervis, ex ministro dell'Economia (marzo 2001-agosto 2002) dell'ultimo governo non islamico e laico e vero artefice del miracolo economico turco.

Dervish (come l'ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder in Germania) ha messo le basi dello sviluppo economico futuro con riforme stutturali impopolari ma ncessarie, un sistema bancario in ordine dopo la terribile crisi bancaria del 2001, una banca centrale autorevole e rispettata, liberismo in politica, attenzione al deficit delle partite correnti. Purtroppo dopo l'inizio del tapering della Federal Reserve e la fuga dei capitali di mercati emergenti la situazione della Turchia si è fatta più difficile: un deficit delle partite correnti in aumento, una svalutazione della moneta eccessiva, tassi di interesse in aumento, fuga dei capitali stranieri, credito meno conveniente per le Pmi locali, ingerenza della politica nella vita economica.


Nessuno vuole dimenticare che la Turchia ha raggiunto grandi traguardi negli ultimi dodici anni: Pil in crescita, consumi in aumento, reddito pro-capite passato da 2.500 a diecimila dollari, 16° economia del mondo. Ankara è la "Cina dietro l'angolo" come amava ricordare il banchiere Alessandro Profumo, ma è pure un paese con evidenti disequilibri, con uno sviluppo economico trainato da un booom edilizio senza freni e con collusioni poco edificanti da tangentopoli sul Bosforo come ha evidenziato l'ultimo scandalo esploso a dicembre scorso.
Oggi il modello turco, fatto di sviluppo economico e conservatorismo islamico , è in crisi e sempre più isolato nella regione. Un modello in difficoltà perché ha parzialmente tradito l'eredità di Kemal Dervis che non aveva mai messo in discussione i checks and balance di uno stato di diritto, il rispetto del mercato, la necessità della autonomia della banca centrale . Tutto questo oggi è purtroppo messo in discussione da una visione autoritaria del paese e della sua economia. Un azzardo politico che potrebbe compromettere il miracolo economico sul Bosforo.

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