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Learco Guerra, la locomotiva umana

Tredicesima tappa, Fossano-Rivarolo Canavese: 157 chilometri in gran parte pianeggianti, ma con qualche saliscendi che, per chi avesse le gambe e la voglia di provarci, potrebbe togliere ai velocisti la vittoria finale. Tappa per passisti, per chi è capace di staccare tutti in pianura e preseguire come un treno in corsa. Tappa per Learco Guerra, la «locomotiva umana».

Il soprannome gli era stato dato da Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport a cavallo tra gli anni 20 e 30 del secolo scorso: quando si metteva a tirare, in pianura, dava la sensazione di un treno lanciato a piena velocità e in pochi, quasi nessuno, sapevano stargli dietro. Eppure era arrivato al professionismo tardi, a 27 anni: un'età nella quale di solito sei nel pieno della carriera e inizi a pensare a cosa farai dopo, quando passati i 30 le gambe iniziano a girare un po' meno veloci.

Learco Guerra era nato nel 1902 in una piccola borgata dalle parti di Mantova, San Nicola Po. Di famiglia povera si era presto adattato a lavorare come manovale e, a diciotto anni, era entrato a far parte della squadra di calcio locale, l'Aurora. Il ruolo? Attaccante, manco a dirlo: e lo faceva così bene da diventare presto il capitano e poi il presidente della società. Da presidente gli era venuta l'idea di costruire un pista, intorno al campo da calcio, e di iniziare ad allenarsi con la bicicletta. La cosa gli riusciva così bene da cominciare a correre come indipendente, nel 1928. L'anno successivo il già citato passaggio al professionismo e la vittoria, senza avere nemmeno un allenatore al seguito, nel campionato italiano che si svolgeva sulla pista di Carpi. Il secondo era indietro, molto indietro, distanziato di un giro.

Non era un velocista, ma in salita era difficile da staccare: resisteva tenacemente e non mollava mai. Come aveva dimostrato al suo primo Tour de France, corso con il grande Alfredo Binda come capitano. Quel Binda che, nello stesso anno, aveva saltato il Giro d'Italia per manifesta superiorità, pagato dagli organizzatori per stare a casa e permettere agli altri corridori di darsi battaglia, di non pensare solo al secondo posto. Quel Binda di cui sarebbe diventato il più pericoloso rivale, capace di impensierirlo, di staccarlo, di batterlo. In quel Tour del 1930, comunque, Binda si era ritirato: e Guerra, improvvisato capitano sul campo, era riuscito a chiudere la corsa francese al secondo posto in classifica. I suoi compaesani, che lo amavano in modo profondo, gli avevano fatto trovare al rientro un premio in denaro, racimolato attaverso una colletta dalla quale nessuno si era tirato indietro: con quei soldi la locomotiva umana si era comperato casa.

Il suo legame con il Giro è indissolubile: è stato il primo, nel 1931, a indossare la Maglia Rosa, appena "inventata" per simboleggiare il primato in classifica. Quattro vittorie di tappa e poi il ritiro, l'appuntamento solo rinviato con la vittoria finale. Learco Guerra si rifà, con gli interessi, al Campionato del mondo, nell'unica occasione in cui la prova iridata era stata organizzata a cronometro. Distanza da correre, 170 chilometri, praticamente una tappa del Giro o del Tour, ai nostri tempi. Learco Guerra la percorre alla media, strepitosa per l'epoca, di 34,727 chilometri all'ora, rifilando più di quattro minuti al secondo, il francese Ferdinand Le Drogo e quasi cinque al terzo, lo svizzero Albert Büchi. Una prova da vera locomotiva umana, appunto.

La vittoria al Giro arriva nel 1934, con Binda costretto al ritiro dopo la quinta tappa: ma la Maglia Rosa era già sulle spalle di Guerra, che l'avrebbe indossata per ben 12 giorni sui 17 di corsa, vincendo dieci tappe. Tanto per capire come si correva all'epoca, l'ultima frazione era di 315 chilometri...

Nei suoi anni da professionista, pur avendo iniziato tardissimo, ha conquistato cinque volte il titolo italiano, due secondi posti al Tour de France, la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia. Per 31 volte è stato vincitore di tappa al Giro: ancora oggi, insieme a Cipollini e Binda, il terzo posto sul podio dei plurivincitori di ogni epoca è suo. L'ultimo campionato italiano, nella corsa dietro motori, lo ha vinto a 40 anni suonati sulla pista magica del Vigorelli di Milano. In totale 86 vittorie, togliendosi gli avversari dalle ruote in pianura, quando solo i più forti riescono a farlo.

Dopo il ritiro dalle corse è diventato un apprezzato costruttore di biciclette, è stato commissario tecnico della Nazionale italiana e successivamente uno dei migliori direttori sportivi in circolazione. Con lui Hugo Koblet, primo straniero in assoluto, ha vinto il Giro d'Italia del 1950. Con lui il piccolo Charly Gaul, che sarebbe diventato «l'Angelo della montagna» ed era stato scoperto da Guerra quando nessuno credeva che quel ragazzo timido e minuto potesse puntare al traguardo finale, vinse i Giri del 1956 e 1959. La sua ultima scoperta è stato Gianni Motta, preso da dilettante e portato al professionismo senza fare in tempo, però, a guidarlo dall'ammiraglia. Anche in quel caso aveva visto giusto.

La morte lo ha raggiunto mentre pedalava disperatamente,a soli sessant'anni, contro il morbo di Parkinson. L'unico avversario che non è riuscito a togliersi dalle ruote.

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