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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2014 alle ore 06:39.

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BERLINO. Dal nostro inviato
Un aumento di capitale della Deutsche Bank per 8 miliardi di euro, di dimensioni maggiori di quelle attese dal mercato, ha confermato che anche le più grandi banche stanno cercando di prevenire le richieste della Banca centrale europea al termine della valutazione dei loro bilanci attualmente in corso e che si concluderà a ottobre.
Deutsche Bank ha annunciato domenica sera di voler raccogliere 6,3 miliardi di euro dal mercato e di aver già collocato azioni per 1,75 miliardi di euro alla Paramount Services Holdings, un fondo della famiglia reale del Qatar. Nelle intenzioni, questo diventerà un investitore stabile della banca, secondo quanto ha dichiarato ieri uno dei due amministratori delegati, Anshu Jain. Il Qatar ha investito negli ultimi anni, tra l'altro, in Barclays (un'operazione oggi sotto inchiesta), Credit Suisse, Bank of America e anche in un paio di banche greche.
L'aumento, che dovrebbe concludersi il 24 giugno, farà salire il Common equity tier 1, il capitale di più alta qualità secondo le regole di Basilea, della maggiore banca tedesca dal 9,5% all'11,8%. Deutsche Bank, che veniva ritenuta da molti analisti del settore non sufficientemente capitalizzata e a rischio di trovarsi nella lista delle banche messe all'indice dalla Bce alla fine della valutazione approfondita in corso, risale così la graduatoria degli istituti di credito, anche se resta al di sotto di molte concorrenti americane e svizzere. Sotto la pressione delle aspettative generate dall'esercizio condotto dalla Bce, che aveva già convinto altri istituti dell'eurozona, compresi diversi italiani, ad agire, i vertici di Deutsche Bank hanno modificato la loro strategia che finora prevedeva di aumentare gradualmente la patrimonializzazione attraverso l'aumento degli utili e altre operazioni, dopo che l'anno scorso in aprile era già stato realizzato un aumento da 3 miliardi di euro. Alla fine del primo trimestre, però, i ratio patrimoniali erano in calo. Una volta completata quest'operazione, Deutsche Bank avrà in pratica raddoppiato i livelli di capitale rispetto a fine 2011.
In una teleconferenza con gli analisti, la banca ha anche annunciato ieri mattina di voler piazzare 1,5 miliardi di euro di titoli ibridi. Nel frattempo, ha rinviato gli obiettivi di redditività (return on equity al 12%) e di taglio dei costi dal 2015 al 2016. I due amministratori delegati, Jain e Juergen Fitschen, hanno affermato in una dichiarazione che la banca sta «consolidando il capitale, migliorando ulteriormente la competitività e investendo in progetti di crescita». L'istituto di Francoforte, che resta molto esposto all'investment banking, potrebbe d'altro canto avvantaggiarsi in molti comparti dei mercati della ritirata di diversi concorrenti.
Il titolo ha perso ieri in Borsa l'1,7% ma l'annuncio è stato generalmente bene accolto dagli analisti, anche se permangono dubbi sulla redditività di lungo termine della banca e sui costi delle numerose inchieste giudiziarie in cui è coinvolta su entrambe le sponde dell'Atlantico. Il prossimo test è l'assemblea degli azionisti di giovedì 22 a Francoforte, ma è probabile che l'annuncio di domenica calmi almeno in parte l'inquietudine di molti azionisti.
Il Fondo monetario, in un documento diffuso ieri dalla sua missione in Germania, ricorda che il settore bancario tedesco si sta ridimensionando attraverso dismissioni di attivo, aumentando i cuscinetti di capitale, ma richiede «stretto monitoraggio». Dell'annuncio di Deutsche Bank, il capo missione, Enrica Detragiache, ha detto che si tratta di «un passo nella giusta direzione», ma ha osservato che altre banche devono raffrozare il capitale. «Non pensiamo che il processo sia finito», ha affermato l'economista. I mercati si interrogavano ieri su cosa farà Commerzbank, la seconda banca privata. La valutazione della Bce, sostiene l'Fmi, porterà chiarezza sulla salute delle banche che ancora detengono grossi portafogli di attivi difficili da valutare. Molte banche tedesche hanno infatti ancora a bilancio prodotti derivati, acquisiti prima della crisi e di dubbia valutazione.
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