Notizie SportMarco Pantani pedala ancora nel cuore di tutti i tifosi
Marco Pantani pedala ancora nel cuore di tutti i tifosi
di Mattia Losi | 25 maggio 2014
Quindicesima tappa, Valdengo-Plan di Montecampione: 225 chilometri che scorreranno tranquilli fino a Pian Camuno, per poi impennarsi improvvisamente nella salita che porta a Plan di Montecampione. Poco meno di venti chilometri disegnati nel regno degli scalatori, degli uomini che sanno scattare a ripetizione sulle pendenze più aspre, rilanciare l'azione alzandosi sui pedali, fare il vuoto quando sembra che sia impossibile farlo.
Il campione di oggi è Marco Pantani, che proprio su questa salita nel 1998 ha scritto una pagina rimasta nella storia del ciclismo: il duello con Pavel Tonkov che lo avrebbe portato a vincere il Giro d'Italia.
Dici montagna e ti vengono subito in mente pochi nomi: quelli di Gino Bartali e Charly Gaul, quello di Fausto Coppi. Marco Pantani , «il Pirata», fa parte di questo gruppo ristretto: ha saputo riportare il ciclismo alle imprese epiche degli anni 40 e 50; ha dimostrato come fosse possibile, senza essere dei mostri contro il tempo, conquistare ancora un grande giro; ha fatto rispolverare le sveglie, al posto dei cronometri, per misurare i distacchi che infliggeva agli avversari.
Chiudiamo subito il discorso più duro da digerire, quello delle accuse di doping: nel 1999, mentre era in Maglia Rosa, è stato fermato a Madonna di Campiglio perchè un controllo aveva rilevato un livello di ematocrito troppo alto. Fermo immediato, dissero i giudici, a tutela della salute. Addio Giro e l'inizio di una tragedia umana che avrebbe portato Pantani fino alla morte, cinque anni dopo. A sei mesi da quel test di scarsa affidabilità, che peraltro Marco avrebbe potuto rifiutare, l'Unione ciclistica internazionale modificò i parametri di riferimento: come dire che il test effettuato a Madonna di Campiglio non era corretto, che Pantani avrebbe potuto e dovuto continuare, che il Giro sarebbe stato suo. Troppo tardi: per il Pirata fu solo la conferma di essere stato preso di mira, lui e lui solo, in un ciclismo che avremmo scoperto più tardi nei suoi più segreti risvolti.
Chiudendo il discorso del 1999 non vogliamo emettere una sentenza di assoluzione postuma: ci limitiamo a dire che molti di quelli che in quegli anni sono arrivati davanti e dietro Pantani devono solo vergognarsi. Le loro scuse patetiche sono state spazzate via dal senso di ridicolo che hanno lasciato nella memoria dei tifosi; le loro vittorie, anche se appaiono ancora negli albi d'oro, valgono meno di un pezzo di carta straccia; le loro ammissioni tardive li spingono nell'abisso dell'oblio. Li abbiamo già dimenticati. Il ciclismo si è scordato di loro. Pantani invece è rimasto dove è sempre stato: nel cuore di tutti i tifosi. Amato e rispettato, come meritano solo i più grandi.